La mia Venosa

Descrivo in queste pagine la mia città, la mia Venosa.
Narro la Venosa che a me piace.
La Venosa storica e culturale; quella ricca di tradizioni e di valori.
Parlo della Venosa nella quale mi riconosco e nella quale sono cresciuto.
Questa è la Venosa che voglio cantare.

martedì 1 marzo 2016

Un carnevale di altri tempi. Il funerale di Carnevale.

L’ultimo giorno di carnevale: il Martedì Grasso:
I festeggiamenti maggiori avvenivano il Giovedì grasso e il Martedì grasso, ossia l'ultimo giovedì e l'ultimo martedì prima dell'inizio della Quaresima.
Il Martedì grasso in particolare era il giorno di chiusura dei festeggiamenti carnevaleschi, dato che la Quaresima inizia con il Mercoledì delle ceneri.
Abbiamo già detto nel post precedente, che Il carnevale a Venosa era vissuto e sentito in modo semplice spontaneo e spensierato e quindi ci si organizzava in gruppi di amici o di parenti.
Abbiamo già detto pure, che i festeggiamenti si svolgevano in pubbliche "parate" in cui dominavano elementi giocosi e fantasiosi.
Tra i diversi e variopinti temi che la “parata” poteva mettere in scena, tra il buffo, lo sberleffo ed il faceto, vi era quello più emblematico, che era il funerale di “re Carnevale”.
La festa volgeva al termine, tutti sapevano che “re Carnevale” non sarebbe arrivato (ahimè!!) a sera.
Tutto il pomeriggio trascorreva tra canti, balli ed abbuffate, la festa continuava con un finto e solenne funerale che si svolgeva e si snodava chiassosamente per le vie del paese.
Tutti i partecipanti alla “parata” davano sfogo alla loro vivacità ed alla loro creatività, così tra scherni, sberleffi, smorfie, versacci vari, salutavano ed accompagnavano il malcapitato re Carnevale verso il suo ultimo ed estremo viaggio.
Una bara di cartone veniva portata a spalla dagli amici e dai parenti di Carnevale, un maldestro prete benedicente con chierichetti pasticcioni aprivano il corteo funebre; “Quaranda’n’ ” - (“Quarantana”), moglie di Carnevale, si lasciava andare a libero sfogo con buffe urla di pianto e di disperazione; cercando consolazione ora tra le braccia di “cumba Rocch’ “ ed ora tra le braccia di “mast’Andonie” e cercando ancora, conforto ora a “z’Pascale ” ed ora a ”Cuncettèin" o a “zeie Mariett”.
In questa fase “Quarantana” elogiava goffamente e buffamente sia le doti, i pregi del marito, che le magagne ed i difetti.
Dopo un lungo pomeriggio passato tra canti, balli e scherzi, la “parata” giungeva alla meta.
L’intero paese si dava appuntamento in piazza Castello, davanti alla statua del Card. De Luca per l’ultimo ed estremo saluto al re della festa, cioè appunto Carnevale.
Alla fine della serata, tra gli ultimi scherzi, balli e canti, secondo la tradizione carnevalesca, veniva allestito con un rituale di carattere purificatorio un grande falò (quasi fosse una nuova creazione o rigenerazione della natura) comprendente un "processo", una "condanna", la lettura di un "testamento" , con il conseguente ed inevitabile "funerale" dello sventurato "festeggiato", con il conseguente bruciamento del "Re carnevale" rappresentato da un fantoccio.
A cornice dell'accensione del falò non raramente venivano fatti scoppiare delle girandole di fuochi pirotecnici, con mortaretti, "tric trac" e "castagnole".

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