La mia Venosa

Descrivo in queste pagine la mia città, la mia Venosa.
Narro la Venosa che a me piace.
La Venosa storica e culturale; quella ricca di tradizioni e di valori.
Parlo della Venosa nella quale mi riconosco e nella quale sono cresciuto.
Questa è la Venosa che voglio cantare.

martedì 29 marzo 2016

Orazio

Expertus metuit :

Colui che ha esperienza teme.
(Orazio Lettere libro I - XVIII - 87)

lunedì 28 marzo 2016

LI FUCH’ D’ SAN GIUSEPP

Il 19 Marzo, San Giuseppe
Poesia di Domenico Chieffo. 
(Da: L'acqua d' la funtanedd)

LI FUCH’ D’ SAN GIUSEPP

San Giusepp…
So’ turnat stasere au Gravattone
P’ veré lu meglie fuch’ d’ Venosa;
hann voglie acché dèicie sti ‘uaglione,
lu fuch’ nust ere nata cose.
Coss jè nu fuch’ d’zeppr e stascèdd
Ca facie na fiammat e t’ salote;
Coss jè nu fuch’ d’ paglie e cannaredd:
facie li str-ptizz e po’ s’ stote.
A li timb nust na lenz d’ cartone,
tre, quatt scaramo’zz e nu giurnale
appecciàjen mundagn’ d’ ceppone:
m’ paréie la nott d’ Natale…
Pigliàmm na trainèll sgangara-t,
scèmm abbuscànn’ ciòppr e sarmènd,
na leuncèdd a lu forn d’ D’Amat,
case p’ case sfuttènn tanda gent.
L’o’tem jurn scèmm a la cambagn’,
Sand Sciùscie,Vignale,Canalicchie
E je curréie apprìss a li cumbagn’
Lu mbrell sfascia-t e lu pérepicchie…
Tott la léun po’ s’nzumelàje
Abbàsc’ a lu ceddàre d’ papanonn:
ddà Felecett non scennéie maje
pécché s’appauràje d’ lu papòunn.
Lu jùrn d’ la fest a la prim’ore
già ere bell’e prond lu pagliare
s’ la verèie tott z’ Diadore
ca l’accungertaje com’a n’autàre.
Lu fuch’ s’appicciàje vers la sere
‘ndra lusch’ e brusch’, a l’Avemmaréie,
lu vent-cidd d’ la primavere
‘ncapricciàje rr’ fiamm e s’ n’ scéie…
Chiù tarde, da rr’ case du largone
anzévn rr’ femmen’ a one a one
ch’ rr’ seggetèdd mmane e lu sciarpone
e s’arrutàvn attorn a lu ceppone.
Na scalfato’re, nu crosch’ e na pata-n,
nu b-cchìre d’ véin e na canta’t,
lu r-ganètt d’ mast Caìta-n
passaje allegramend la sera-t.
Po’ vers mezzanott a one a one,
rr’ seggetèdd mmane e na palett
rr’ femmenoccie p’ benedizione
purtàvn lu fuch’ d’ San Giuseppe.
Je, murt d’ sunn com’a Ciaciònn,
Scéie stanch’ d’ fuch’ e d’ cantìcchie
Appéis’ a la vandère d’ mammanonn,
li cauzùne cort e lu perepìccie…


San Giuseppe,
sono tornato questa sera dal Gravattone
per vedere il miglior fuoco di Venosa,
ma hanno un bel dire questi ragazzi,
il nostro fuoco di allora era un'altra cosa.
Questo è un fuoco di fuscelli e tavolette
che fa una fiammata e ti saluta:
è un fuoco di paglia e canna
che fa uno strepitio e si spegne.

Allora con un pezzo di cartone,
tre o quattro canne secche ed un giornale
si accendeva una montagna di legna,
sembrava la Notte di Natale.
Con un carretto sgangherato
procuravamo ciocchi e sarmenti,
qualche legna al forno di D'Amato ,
casa per casa sfottendo tanta gente.
L'ultimo giorno andavamo per la campagna,
a San Giorgio, ai Vignali, a Canalicchio,
io correvo dietro ai compagni
con un ombrello sfasciato e un berretto.

Tutta la legna veniva accatastata
nella cantina di mio nonno,
dove Felicetto non scendeva mai
per paura dei fantasmi.
Il giorno della festa, di primo mattino,
la catasta era bella e pronta:
se la vedeva mastro Teodoro
che preparava il fuoco come un altare.

S'accendeva verso sera,
tra lume e scuro, all'Avemaria,
il venticello della primavera
incapricciava la fiamma e se ne andava.
Più tardi, dalle case del quartiere
uscivano le donne ad una ad una,
con le seggiole in mano ed uno scialle;
sedevano intorno al fuoco.
Una riscaldata, una bruschetta, e una patata,
un bicchiere di vino e una cantata,
con l’organetto di Mastro Gaetano
passavamo in allegria la serata.

Poi verso mezzanotte, a una a una
con le seggiole le donnette portavano
una paletta di fuoco per la benedizione.
Ed io morto di sonno,
me ne andavo stanco di fuochi e di canti,
appeso al grembiule di mia nonna,
con i calzoni corti ed il berretto.

Le pietre parlanti

Le pietre parlano da sole: basta semplicemente sfiorare una pietra, antica o meno che sia, un pilone o l’androne di un palazzo, che conservi resti di qualche casa romana, un pezzo di colonna che affiora da qualche chiesa, costruita magari sopra qualche tempio… ed inizia per me un vero dialogo con il tempo.

Andando per il centro storico di Venosa io lo faccio spesso, ed ogni volta che mi capita, provo delle emozioni e delle sensazioni che vanno oltre il tempo, oltre la realtà.
Provate a farlo anche voi e a chiudere gli occhi: le pietre parlano, ci raccontano cose, ci trasportano come una macchina del tempo, basta sapere ascoltare.
Mi parlano della loro origine, di quello che hanno rappresentato, di come abbiano con il tempo cambiato il loro uso e del loro riuso.
Mi parlano della magnificenza di un tempo e (ahimè) del degrado di oggi.
Mi parlano di grandi uomini e di piccoli uomini.
Mi parlano di discorsi antichi e di polemiche paesane.
Mi parlano dell'abile scalpellino che ha realizzato quanto ideato dal suo committente, della sua bravura, dei suoi sudori e della sua arte.
Mi parlano di amori segreti, di parole bisbigliate e di baci mai dati, di storie finite in un buio androne e di amori iniziati con la complicità di un portone socchiuso.


Mi parlano di appuntamenti di lavoro: 
“ veremm'c' craje a mateine 'nnanz' a lu Ragn' dor' " (vediamoci domani mattina presto davanti al Ragno d’oro).
Mi parlano di appuntamenti amorosi: 
“t’ aspett’ stasèr’ a li ott’ jènd la strètt’lecchje d’la Quaratèine o la strett’l’ de ‘u Ciùnz” - (ti aspetto questa sera alle 20 nei pressi della strettola Vico Marcello, detta della Coratina o la strettola via P. Del Giudice, detta del Gelso).
Mi parlano di giochi di ragazzi … mentre si gioca a trentun’ (nascondino) o a “cacauscje”…. e di passeggiate spensierate “mizz a lu cors o jènd’ a la vèll’” ( il corso era Via Vittorio Emanuele II o in villa comunale).
E’ bello sentire l’ebbrezza del vissuto dove le emozioni sono condivisibili, e i sogni diventano “tangibili”, dove sembra che il tempo non sia mai passato …insomma: un vero e proprio viaggio nel tempo.

Le rovine rappresentano l'opera del tempo e la memoria degli uomini.
Le pietre ci invitano a compiere un viaggio tra le vestigia di tutto un mondo molto lontano, ma sempre presente, un mondo silenzioso, nascosto ed a volte misterioso, per rivelarne insieme oltre alla storia, alla poesia e alla bellezza anche il significato.

E’ bello delineare un percorso e tracciare un itinerario attraverso le grandi culture che si sono avvicendate nel corso dei secoli e attraverso gli antichi siti che hanno popolato nel tempo i sogni dei poeti e affascinato architetti, scultori, scalpellini, artisti, musici e scrittori di epoche diverse: dalla preistoria all’antica Grecia, dalla Roma imperiale al medioevo, dal rinascimento fino ai giorni nostri, sconvolti dalle ultime due guerre mondiali, passando quindi per l'impero romano, ripercorrendo i luoghi simbolo dell'evangelizzazione e della cristianità con manufatti come templi, fortezze, chiese ed edifici che raccontano la storia di ognuno.



Ora che molte di queste pietre hanno fatto ritorno alla luce e al loro primitivo splendore, esse liberano il loro spirito, nel silenzio e nella luce.
E’ bello sentire l’ebbrezza del vissuto dove le emozioni sono condivisibili, e i sogni diventano “tangibili”, dove sembra che il tempo non sia mai passato …insomma: un vero e proprio viaggio nel tempo.
Ogni edificio potrebbe raccontare la sua storia, ma gli uomini non li ascoltano, lo abitano.
Quando però il suo spirito emerge, allora l’uomo riesce a sentire…”.
Ogni costruzione, infatti, finché rimane in piedi è prigioniera del suo dovere, celebrativo o funzionale che sia.

Quando invece inizia la decadenza ogni costruzione si libera della sua servitù e inizia a raccontarsi attraverso le sue crepe.
Un viaggio nelle culture e nel tempo, ma forse oserei dire, che è più corretto definirlo: un viaggio “senza tempo”.
La “stratificazione della storia” è infatti un privilegio tangibile per chi vive in questa città, ricca di luoghi dove il passato e il presente si fondono, creando atmosfere irripetibili altrove.
È uno di questi siti che predispongono a questo la mente, gli occhi, e il cuore.



Un esempio ideale di cultura e bellezza:
Molti di noi non ci pensano, ai più sfugge, ad altri è totalmente indifferente se non inutile, ma io credo che è un privilegio che in questo paese ci sia tanta bellezza, manca però una consapevolezza: la bellezza bisogna difenderla. Difenderla proprio dall’ignoranza, dal degrado, dall’incuria, perché è un bene inestimabile, e un diritto poterne usufruire tutti, liberamente, con gioia e rispetto.


E’ il fenomeno del “dejavu”. Ci credo: credo fermamente che esista qualcosa che vada aldilà di tutte le realtà materiali e temporali, che ci collega con un infinito, un passato che continua nel presente e nel futuro ed in modo tangibile.

Chi cerca trova: il mio "dejavù" è nelle pietre che parlano.
In una città come Venosa, quest’impressione è empiricamente dimostrabile: chi vive qui ha il privilegio di poter toccare con mano il passato.
Malgrado tutti i paradossi e le contraddizioni della nostra cittadina, per me è un privilegio vivere qui, ho sempre vissuto qui e malgrado il problemi di tutti i giorni, la viabilità disastrata, il disinteresse e l’apatia politica, la maleducazione, la barbarie ed il vandalismo metropolitano e l’incuria quasi imperante nei nostri parchi meravigliosi, che meriterebbero maggior attenzione anziché languire nell’abbandono fra cartacce, escrementi, copertoni, scarti di laterizi e bottiglie di birra: mi basta pensare alle vie del Parco Archeologico, un tempo attraversate al galoppo da eserciti invincibili, dalle corti degli imperatori, come la famosa Via Appia.

Eppure malgrado tutto, questa città-museo a cielo aperto, esercita un fascino ineguagliabile sui residenti e sui stranieri.
“Di questa città, di cui faccio parte, mi affascina la stratificazione della storia.
Qui si può davvero toccare con mano, dalla preistoria al medioevo, dal rinascimento al barocco, fino ai tempi moderni, e persino certa architettura fascista ha un suo fascino, un suo significato nella storia dell’arte”.

Comunque è vero. Si perdono tante cose nella vita: occhiali, ombrelli, penne, chiavi di casa….ma c’è una cosa che non si potrà perdere mai: la nostra storia.
È la nostra storia infatti che ci dà l’orientamento in questo mondo, e in questa epoca difficile e un po’ oscura.
Basterebbe guardarsi attorno, riempirsi gli occhi con bellezza dei nostri siti e soprattutto fermarsi, ad ascoltare le pietre.
Una storia che si vede, che si tocca, che può dare a tutti coraggio, forza e l’orgoglio necessario per andare avanti: non dimentichiamoci che per capire chi siamo e dove andiamo dobbiamo sapere da dove veniamo.
Le pietre ci parlano davvero.

Vincenzo Giaculli

Le meraviglie di Venosa - L’arco magico

Solo qualcosa di magico può sfidare gli insulti del tempo, dell’usura, del degrado, dell’incuria e dell’abbandono.
Questo “arco di cristallo” trasparente è magico, perché non è di cristallo come potrebbe sembrare, ma bensì di acqua; acqua sorgiva e cristallina;
acqua che scorre da più di duemila anni ininterrottamente ed ha dissetato per secoli generazioni di viandanti e di contadini che recandosi nei campi passavano di là.

È un arco così perfetto che sgorgando dalla parete e cadendo nella vasca sottostante non provoca nessuno zampillo e nessuna bolla d’aria.
Tutto sembra immobile.

È una meraviglia assoluta. È senza dubbio una magia.
Chi è l’autore o i fautori di tale prodigio?
Gli antichi romani naturalmente.


La fontana è detta appunto la Romanesca.

Gli Ordini cavallereschi e monastici a Venosa (terza parte)

I Cavalieri con la croce di Malta.
Nella chiesa della SS Trinità di Venosa si trovano molte testimonianze del passaggio e soggiorno di antichi cavalieri con la croce di Malta, nota anche come croce di san Giovanni
Il simbolo è una croce ottagonale (cioè di otto punte) di origine bizantina, risalente, con ogni probabilità, al VI secolo.

Il suo disegno è basato sulle croci usate sin dalla prima crociata.
Le sue 8 punte possono avere molteplici significati,
ad esempio: abbiamo detto che possono simboleggiare le beatitudini secondo san Matteo;
oppure alcune tra le 8 virtù più importanti cristiane;
possono anche rappresentare le 8 nazionalità di provenienza dei Cavalieri di San Giovanni;
oppure gli 8 princìpi che dovevano rispettare gli antichi cavalieri:

1) spiritualità
2) semplicità
3) umiltà
4) compassione
5) giustizia
6) misericordia
7) sincerità
8) sopportazione.
Testimonianze molteplici della loro presenza e del loro operato si possono ancora oggi trovare ben evidenti lungo le pareti affrescale e colorate della SS Trinità.

Dove importanti cavalieri medievali si sono fatti ritrarre ed immortalare vestiti in ricche vesti con le effigi ben evidenti della croce ad otto punte

Gli Ordini cavallereschi e monastici a Venosa (seconda parte)

I Cavalieri con la croce di Malta.
Nella chiesa della SS Trinità di Venosa si trovano molte testimonianze del passaggio e soggiorno di antichi cavalieri con la croce di Malta, nota anche come croce di san Giovanni
Il simbolo è una croce ottagonale (cioè di otto punte) di origine bizantina, risalente, con ogni probabilità, al VI secolo.

Il suo disegno è basato sulle croci usate sin dalla prima crociata.
Le sue 8 punte possono avere molteplici significati,
ad esempio:
possono simboleggiare le beatitudini secondo san Matteo;
oppure alcune tra le 8 virtù più importanti cristiane, quali:
1) Lealtà
2) Pietà
3) Franchezza
4) Coraggio
5) Gloria ed onore
6) Disprezzo per la morte
7) Solidarietà verso i poveri ed i malati
8) Rispetto per la Chiesa
Devo precisare che i Cavalieri di San Giovanni o ordine degli Ospitalieri, costituivano l'ordine monastico, in qualche modo simile ai Cavalieri Templari, ma diverso, divenuto poi famoso proprio con il nome di Cavalieri di Malta.

Testimonianze molteplici della loro presenza e del loro operato si possono ancora oggi trovare ben evidenti lungo le pareti affrescale e colorate della SS Trinità.
Dove importanti cavalieri medievali si sono fatti ritrarre ed immortalare vestiti in ricche vesti con le effigi ben evidenti della croce ad otto punte.


I Cavalieri di San Giovanni o i Cavalieri di Malta realizzarono il primo Ospedale della storia, l'Ospedale di San Giovanni nella Città Santa di Gerusalemme. Postulatio Voluntatis " nell'a.d. 1113.

Gli Ordini cavallereschi e monastici a Venosa (prima parte)

I Cavalieri con la croce di Malta.
Nella chiesa della SS Trinità di Venosa si trovano molte testimonianze del passaggio e soggiorno di antichi cavalieri con la croce di Malta, nota anche come croce di san Giovanni
Il simbolo è una croce ottagonale (cioè di otto punte) di origine bizantina, risalente, con ogni probabilità, al VI secolo.

Il suo disegno è basato sulle croci usate sin dalla prima crociata.
Le sue 8 punte possono avere molteplici significati, ad esempio:
possono simboleggiare le beatitudini secondo san Matteo:
1) Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli
2) Beati i miti, perché possiederanno la Terra
3) Beati gli afflitti, perché saranno consolati
4) Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati
5) Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia
6) Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio
7) Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio
8) Beati i perseguitati per amore della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Essa fu dapprima adottata come simbolo distintivo da un gruppo di Monaci guidato dal Beato Frà Gerardo Sasso, nativo di Scala di Amalfi, Benedettino della Abbazia di Cava.
Questi Santi Uomini presero ad occuparsi delle sofferenze dei Pellegrini sulle vie della Terra Santa.
Devo precisare che i Cavalieri di San Giovanni o ordine degli Ospitalieri, costituivano l'ordine monastico, in qualche modo simile ai Cavalieri Templari, ma diverso, divenuto poi famoso proprio con il nome di Cavalieri di Malta.
Testimonianze molteplici della loro presenza e del loro operato si possono ancora oggi trovare ben evidenti lungo le pareti affrescale e colorate della SS Trinità.
Dove importanti cavalieri medievali si sono fatti ritrarre ed immortalare vestiti in ricche vesti con le effigi ben evidenti della croce ad otto punte.

I Cavalieri di San Giovanni o i Cavalieri di Malta realizzarono il primo Ospedale della storia, l'Ospedale di San Giovanni nella Città Santa di Gerusalemme.
Per fronteggiare le continue violenze ed aggressioni subite dai pellegrini da parte di briganti e saraceni, Frà Gerardo venne successivamente autorizzato ad organizzare i monaci in armi, provvedendo alla difesa dei poveri viandanti.

Il Santo Padre Pasquale II sancì lo status di Monaci Cavalieri e, di fatto, la nascita dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, successivamente denominato "dei Cavalieri di Malta, Cipro e Rodi", con la bolla papale "Pie Postulatio Voluntatis " nell'a.d. 1113.

L’iconografia nelle chiese di Venosa.

Le immagini per lungo tempo hanno avuto un ruolo didattico e di accompagnamento visivo durante uno dei momenti sociali più importanti dell’età moderna: la messa.
La storica importanza delle figurazioni religiose è evidente nelle imponenti decorazioni delle chiese che ospitano mosaici, affreschi, pale d’altare e un’infinità di oggetti d’arredo.

Le immagini dovevano essere chiare e immediatamente comprensibili dal fedele che, spesso analfabeta, mandava il naso all’insù ad osservare il popolo di santi che lo scrutava dall’alto.

Per questo ogni santo, ogni madonna, ogni personaggio biblico ed evangelico ha una propria specifica iconografia, ovvero un modo specifico di essere rappresentato legato alle vicende di cui è protagonista.

Vediamo all’interno della Cattedrale, collocate in alto nelle navate laterali molte tele raffiguranti gli apostoli e santi, in fondo all’abside una grande tela raffigurante Sant’Andrea e su un altare laterale una pala raffigurante il martirio di San Felice e dei suoi compagni, altre tele poi raffiguranti lo stesso Cristo e la Vergine Maria.

Numerose sono anche le statue antiche e di egregia fattura, custodite e venerate in essa, come la statua del Cristo morto e quella della Madonna Addolorata, l’Assunta, l’Immacolata, Santa Teresa, Santa Barbara e l’antica Icona bizantina della Madonna dell’Idria.

È all’interno della chiesa della SS Trinità che si trovano la maggior concentrazione di affreschi sacri. Tra tombe principesche e sepolcri nobiliari di ordini cavallereschi non mancano documentazioni pittoriche sacre risalenti all’epoca medievale e bizantina.

Importanti opere sacre sono custodite anche all’interno della chiesa di San Filippo Neri, detta del Purgatorio, ed altri capolavori non ancora esposti purtroppo, sono custoditi all’interno di casse nell’archivio del museo vescovile di Venosa.

martedì 15 marzo 2016

SS Trinità (Venosa) - San Vito (Affresco)

San Vito è un santo molto venerato di Lucania.
Nato a Mazara, in Sicilia nel III secolo e martirizzato in Lucania il 15 giugno 303.
Fu un giovane cristiano, che subì il martirio per la fede nel 303 e come tale è venerato dalla Chiesa cattolica
La memoria liturgica è da ricordare nei giorni 15 giugno e/o 20 marzo.

Agiografia:
Non si hanno dati storicamente accertati sulla sua origine, ma la tradizione lo vuole nato in Sicilia da padre pagano. Secondo una passio del VII secolo il fanciullo siciliano Vito, dopo aver operato già molti miracoli, sarebbe stato fatto arrestare dal preside Valeriano su istigazione del proprio padre.
Avrebbe subito torture e sarebbe stato gettato in carcere senza che però avesse rinnegato la propria fede; 
sarebbe stato liberato miracolosamente da un angelo e si sarebbe recato, insieme al precettore Modesto e alla nutrice Crescenzia, in Lucania per continuare il suo apostolato.
Acquistata sempre maggior fama presso il popolo dei fedeli, condotto a Roma, sarebbe stato perfino supplicato dall'imperatore Diocleziano di liberare il figlio dal demonio, ma, ottenuto il miracolo, Diocleziano gli si sarebbe scagliato contro, facendolo imprigionare e uccidere.

SS Trinità (Venosa) - San Vito: la palma e i cani.

San Vito (particolare dell'affresco)
In questo affresco, rimosso dalle pareti e collocato su un pannello all'interno della Chiesa vecchia della SS Trinità. 
E' rappresentato San Vito con ricche e leggiadre vesti, con la palma del martirio nella mano destra e due cani tenuti al guinzaglio con la mano sinistra.
Nella maggior parte delle raffigurazioni del santo martire lucano tale figura è sempre accompagnata da due o più cani.
Il legame con quest'animale non trova alcun riscontro oggettivo, però nei testi agiografici ufficiali della tradizione medievale e rimane però un elemento esclusivo dell'iconografia italiana.
La raffigurazione del cane di San Vito è un simbolo della protezione dai possibili morsi dal cane con rabbia e quindi dalla sindrome idrofobica che può colpire l'uomo.

Un'altra leggenda devozionale lo vede protagonista sempre in Sicilia, a Regalbuto, dove, fermatosi per riposare, avrebbe incontrato dei pastori disperati perché alcuni cani avevano sbranato un bambino; allora il Santo, richiamati i cani, si sarebbe fatto restituire da essi i resti del corpo del bambino a cui avrebbe ridonato la vita.

SS Trinità (Venosa) - Primi piani:

San Vito 
(particolare dell'affresco, rimosso dalle pareti e collocato su un pannello all'interno della Chiesa vecchia sella SS Trinità).

L’iconografia nelle chiese di Venosa.

Le immagini per lungo tempo hanno avuto un ruolo didattico e di accompagnamento visivo durante uno dei momenti sociali più importanti dell’età moderna: la messa.
La storica importanza delle figurazioni religiose è evidente nelle imponenti decorazioni delle chiese che ospitano mosaici, affreschi, pale d’altare e un’infinità di oggetti d’arredo.
Le immagini dovevano essere chiare e immediatamente comprensibili dal fedele che, spesso analfabeta, mandava il naso all’insù ad osservare il popolo di santi che lo scrutava dall’alto.
Per questo ogni santo, ogni madonna, ogni personaggio biblico ed evangelico ha una propria specifica iconografia, ovvero un modo specifico di essere rappresentato legato alle vicende di cui è protagonista.
Vediamo all’interno della Cattedrale, collocate in alto nelle navate laterali molte tele raffiguranti gli apostoli e santi, in fondo all’abside una grande tela raffigurante Sant’Andrea e su un altare laterale una pala raffigurante il martirio di San Felice e dei suoi compagni, altre tele poi raffiguranti lo stesso Cristo e la Vergine Maria.

Numerose sono anche le statue antiche e di egregia fattura, custodite e venerate in essa, come la statua del Cristo morto e quella della Madonna Addolorata, l’Assunta, l’Immacolata, Santa Teresa, Santa Barbara e l’antica Icona bizantina della Madonna dell’Idria.

È all’interno della chiesa della SS Trinità che si trovano la maggior concentrazione di affreschi sacri. Tra tombe principesche e sepolcri nobiliari di ordini cavallereschi non mancano documentazioni pittoriche sacre risalenti all’epoca medievale e bizantina.

Importanti opere sacre sono custodite anche all’interno della chiesa di San Filippo Neri, detta del Purgatorio, ed altri capolavori non ancora esposti purtroppo, sono custoditi all’interno di casse nell’archivio del museo vescovile di Venosa.