La mia Venosa

Descrivo in queste pagine la mia città, la mia Venosa.
Narro la Venosa che a me piace.
La Venosa storica e culturale; quella ricca di tradizioni e di valori.
Parlo della Venosa nella quale mi riconosco e nella quale sono cresciuto.
Questa è la Venosa che voglio cantare.

martedì 15 agosto 2017

15 agosto - Assunzione della Vergine

Assunzione della Vergine
Olio su tela, 1750
di Andrea Giannico (pittore del '700, di origine pugliese e seguace del Solimena).
Museo Episcopale di Venosa.

Nella solennità dell’Assunzione della beata Vergine Maria, mi fa piacere presentare su questa pagina un quadro da poco esposto presso il Museo Episcopale di Venosa (PZ):
l'assunzione della Vergine del pittore barocco Andrea Giannico.
Il quadro, ricco di colori e di una teatralità degna del barocco del '700, rappresenta la Vergine Maria nel momento della sua assunzione al cielo, è assisa su una nuvola, sorretta da una gloria di angeli gaudenti.
Assistono alla scena gli Apostoli festanti.
In primo piano si nota l'Apostolo più anziano, molto presumibilmente San Pietro, che tra lo stupore e la meraviglia di tutti gli altri Apostoli, mostra un lenzuolo bianco, che fuoriesce dalla tomba ormai vuota della Vergine.
L'Assunta è primizia della Chiesa celeste e segno di consolazione e di sicura speranza per la chiesa pellegrina.
La 'dormitio Virginis' e l'assunzione, in Oriente e in Occidente, sono fra le più antiche feste mariane.
Questa antica testimonianza liturgica fu esplicitata e solennemente proclamata con la definizione dommatica di Pio XII nel 1950.
Riporto solo il primo dei scritti attendibili che narra dell’Assunzione di Maria Vergine in Cielo, come la Tradizione fino ad allora aveva tramandato oralmente, che reca la firma del Vescovo san Gregorio di Tours ( 538 ca.- 594), storico e agiografo gallo-romano: «Infine, quando la beata Vergine, avendo completato il corso della sua esistenza terrena, stava per essere chiamata da questo mondo, tutti gli apostoli, provenienti dalle loro differenti regioni, si riunirono nella sua casa.
Quando sentirono che essa stava per lasciare il mondo, vegliarono insieme con lei.
Ma ecco che il Signore Gesù venne con i suoi angeli e, presa la sua anima, la consegnò all’arcangelo Michele e si allontanò.
All’alba gli apostoli sollevarono il suo corpo su un giaciglio, lo deposero su un sepolcro e lo custodirono, in attesa della venuta del Signore.
Ed ecco che per la seconda volta il Signore si presentò a loro, ordinò che il sacro corpo fosse preso e portato in Paradiso».

lunedì 7 agosto 2017

La scimitarra di San Donato

La tela dipinta ad olio, è collocata in fondo alla navata di sinistra dell’antica Abbazia della SS Trinità di Venosa, nelle immediate vicinanze dell’attuale sacrestia; è di autore ignoto.
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La grande tela mistilinea è priva di cornice, probabilmente rubata da ladri ed avventurieri che nell’arco dei secoli tanto scempio hanno fatto nella nostra antica Abbazia; l’opera è databile intorno al XVIII sec. misura 2.25 cm x 157 cm. 
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La base è quadrata, mentre la parte superiore è circolare.
Molti sono i riferimenti al mondo orientale presenti all’interno del grande quadro. 
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L’autore della tela ci è sconosciuto, anche a causa del cattivo stato di conservazione con il quale ci è pervenuta, il dipinto però ricalca schemi usuali della pittura devozionale di ambito provinciale del ‘700.
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Secondo la scheda tecnica della Soprintendenza ai Beni Culturali di Matera,
(un doveroso ringraziamento va al dr. Tommaso Sileno per i suoi preziosi consigli), il dipinto raffigurerebbe San Donato (1), ritratto nelle vesti di vescovo, non però nella sua classica iconografia. 
La scena rappresenta un momento meno conosciuto della sua vita: quello di esorcista.
San Donato è assiso su un alto piedistallo, una scalinata fatta di tre gradini circolari, alle sue spalle si intravvede la base di una colonna antica, seminascosta lateralmente da un drappo rosso scuro, mentre una tenda bianca fa da sfondo al resto della scena.
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La tradizione orale ci tramanda che San Donato era un buon vescovo, ed il popolo già da quando era ancora in vita lo considerava santo; nel dipinto indossa i classici paramenti sacri: veste lunga e azzurra, cinta ai fianchi con un cordone rosso scuro; è avvolto da un grande ed ampio mantello, che è la veste liturgica, detto “piviale”, aperta sul davanti di colore rosso antico da un lato e bianco dall’altro e fermato sul petto da un vistoso fermaglio rettangolare dorato; indossa la “mitria” (copricapo di forma allungata e bicuspidata usato dai vescovi durante le celebrazioni liturgiche) ed il “baculo pastorale” o semplicemente pastorale (detto anche bastone pastorale o vincastro, che è un'insegna propria dei vescovi); sia la mitria che il pastorale sono dorati.
Il Santo è raffigurato al centro della scena in atteggiamento benedicente, nell’atto di un vero esorcismo. 
Con la mano destra benedice e scaccia i demoni, mentre con la mano sinistra regge un libro chiuso, mantiene il lembo del piviale e regge anche in pastorale. Il libro è sormontato dalla mezzaluna.
Ai piedi dei tre gradini sono raffigurate tre persone in ginocchio, in atteggiamento orante e penitente: due giovani donne ed un uomo con corona e mantello regale.
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Sempre secondo la scheda tecnica della Soprintendenza ai Beni Culturali di Matera, la figura femminile non identificabile che è in primo piano, accanto ad un angioletto che la indica, rappresenterebbe l’allegoria della Carità, con la fiammella che fuoriesce dalla bocca; però osservando meglio le figure delle due giovani donne, a me sembrano che esse sono in un atteggiamento liberatorio, infatti dalla loro bocca fuoriesce non una semplice fiammella, ma addirittura due piccoli draghi di colore rosso-scuro, con tanto di ali e lingua di fuoco, a mio parere sono i demoni esorcizzati e scacciati dal Santo.
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San Donato infatti scaccia dei draghi dalla bocca delle due fanciulle ritenute pagane e quindi infestate dal maligno, chiara allegoria alla distruzione dell' idolatria pagana che aveva ancora molte resistenze, ricordo e faccio notare che la scena si svolge alla sommità di un tempio presumibilmente pagano.
La figura maschile con mantello regale e corona sul capo è anch’esso in ginocchio è stato identificato come San Ferdinando e sembra voler ringraziare il santo per un suo divino intervento o per grazia ricevuta.
Chiudono la scena tre angioletti, posizionati in modo diverso sulla tela e, secondo me anche con funzioni diverse.
Il primo rappresenta la Gloria: è in alto a sinistra, svolazza sospeso nell’aere, guarda gaudente l’intera scena dall’ alto e se ne compiace, porge una corona d’oro sul capo del santo; ed è un segno tangibile della gloria divina che il santo riceverà in paradiso;
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il secondo rappresenta il Gaudio, la soddisfazione, la gioia: l’angioletto sbuca fuori da dietro il santo, guarda in basso verso la giovane fanciulla esorcizzata, il suo sguardo è lieto e sorridente, sembra danzare e far festa per ciò che sta avvenendo; la mano destra è rivolta in basso ed è aperta nell’ impedire alla donna di cadere nuovamente nel peccato, mentre con la mano sinistra regge in alto una palma, che è si la palma del martirio di San Donato, ma è anche la palma del giubilo e del trionfo del bene sul male.
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Il terzo angioletto rappresenta l’Ammonimento; a mio avviso, è il più emblematico dei tre; questo angelo è l’unica figura dell’opera pittorica che guarda fisso lo spettatore.
Il suo sguardo, al contrario degli altri due, non è sereno e gioioso ma serio, i suoi occhi sono minacciosi.
Ci sta ammonendo, ci sta mettendo in guardia contro le insidie del maligno.
Ha una postura sgraziata, è seduto per terra con le gambe incrociate, la mano sinistra poggiata a terra, sorregge una spada, che è una scimitarra, cioè un’arma da taglio con lama ricurva, slargata verso la punta, usata dai popoli orientali, è l’arma con la quale San Donato ha subito il martirio con il taglio della testa; 
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infine con l’indice della mano destra, indica la giovane donna appena liberata dal maligno, in segno di ammonimento; ci sta comunicando di ravvederci dalle insidie del peccato a cui il demonio ci induce.

San Donato è molto venerato anche qui dalle nostre parti, infatti San Donato risulta essere il protettore del paesino di Ripacandida (PZ), centro agricolo alle falde dl monte Vulture. Qui sorge appunto l’omonimo santuario ad egli dedicato ed è la chiesa più antica della cittadina di Ripacandida.
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Gemellato addirittura con la basilica di San Francesco in Assisi per via dei suoi affreschi a cura di un allievo di Giotto.
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C’è da dire però che qui San Donato (di cui oggi 7 agosto si ricorda la festività) viene confuso con san Donatello, cioè San Donato Simone, conosciuto meglio come san Donatello appunto o anche come san Donato da Ripacandida (Ripacandida, 1179 – Petina, 17 agosto 1198), è stato un religioso italiano.


« I ripacandidesi non bene conoscono, e però non apprezzano, né venerano, come si conviene, il santo che nacque entro le loro stesse mura, respirò le stesse aure, calcò lo stesso suolo. Si direbbe che questa è la sorte, che Ripacandida riserva ai suoi figli più illustri [...] » ( Guido Mastantuono, Un candido fiore di Ripa, Melfi, Tipografia del Secolo, 1927).


(1) S.Donato
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Donato sarebbe morto martire, secondo la tradizione, il 7 agosto 362 sotto Giuliano l’Apostata.
Secondo alcune fonti storiche Donato sarebbe nato a Nicomedia, antica città dell'Anatolia, oggi la moderna İzmit in Turchia, ancora fanciullo venne a Roma con la famiglia, qui fu educato da Pimenio prete e fatto chierico; suo compagno di studi e di formazione religiosa era Giuliano, ma mentre costui giunse a diventare suddiacono della Chiesa di Roma.
Donato rimase semplice lettore, compagno di studi di Giuliano l'Apostata e poi da lui fatto condannare a morte.
A Roma riceve l'ordinazione episcopale da Papa Giulio.
Fu vescovo di Arezzo, grande taumaturgo ed esorcista. 
Ebbe ben presto grandissima fama e devozione nell'antichità. 
E' ricordato nel martirologio Geroniminiano del V secolo e nel Sacramentario di Papa Gelasio (492-496) il primo messale della Chiesa di Roma, tra un numero ristretto di santi, al 7 di Agosto troviamo S. Donato di Arezzo Confessore, termine che nell'antichità designava chi aveva molto sofferto per la fede. Papa S. Gregorio Magno lo definisce infatti "Nostro padre nella fede".
Mentre al VI secolo risale la più antica Passio del Santo, che ne raccontano la vita e il martirio, quasi sempre un misto di notizie storielle, episodi leggendari e pii racconti edificanti.
Donato prese alla lettera l'invito di Gesù "Vieni e seguimi", e seppur in tempi di persecuzione, si fa sentire con forza, e iniziò a seguire il monaco Ilariano che lo introduce alla vita religiosa.
San Donato è venerato, invocato e ricordato come apostolo, pastore, confessore, taumaturgo ed esorcista e martire.
La grande devozione che Donato ha avuto nel mondo antico è dovuta soprattutto alla sua fama di santo dei miracoli.
Nelle Passio c'è un episodio spesso riferito anche ad altri santi: Donato uccide un drago che si trova, nelle campagne di Arezzo, chiara allegoria alla distruzione dell' idolatria pagana che aveva ancora molte resistenze.
San Donato è invocato come taumaturgo.
Il miracolo più importante di S. Donato e che ritroviamo come simbolo stesso del santo è quello del calice.
Un giorno durante la celebrazione eucaristica mentre il diacono Antimo distribuisce ai fedeli il vino consacrato alcuni pagani irrompono nel luogo della celebrazione e gettano a terra il calice che essendo di vetro va in frantumi.
Donato raccoglie i pezzi nel corporale e il calice miracolosamente si ricompone, ma un pezzo del fondo è stato portato via dal diavolo: eppure il calice, miracolo ancora più grande, trattiene il liquido senza versarlo.
Questo miracolo del calice era così noto nell'antichità che ne parla anche il papa S. Gregorio Magno nei suoi dialoghi e addirittura San Pier Damiani morto nel 1072 dice che il miracolo continua "fino ad oggi", che tutti possono vederlo e lo definisce "miracolo dei miracoli":"Veramente nulla è impossibile a Dio". 
San Donato è venerato come esorcista.
Riporto questo episodio attribuito a San Donato dalle cronache del tempo:
C'è nella città di Arezzo un bambino di nome Asterio figlio di un grosso personaggio della città, ma il bambino sembra che sia ammalato di epilessia, cade a terra, si contorce e nessun medico riesce a guarirlo.
Donato comprende che il suo è un male spirituale ed ordina al demonio di lasciarlo in pace. 
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Asterio ritorna nella pienezza della salute e della pace.
Anche la figlia di un potente è oppressa dal maligno e le preghiere di Donato la liberano per sempre.
Questa attività di Donato di liberare gli ossessi e guarire gli epilettici ha fatto sì che in molte regioni del meridione d'Italia sia invocato contro l'epilessia detta addirittura male di S. Donato o della luna da cui il simbolo della luna accanto al santo.
La guarigione del bambino Asterio ha fatto di Donato un particolare protettore dei bambini.
San Donato martire della fede.
Vista la sua determinazione e ostinazione a non voler rinnegare la sua fede in Cristo, Quadraziano ordina che venga messo a morte tramite decapitazione.
S. Donato affrontò la scure del carnefice pronunciando le parole: "questo l'ho sempre desiderato ".
E' il 7 Agosto di un anno imprecisato, forse nel 362. 
E' il giorno che fin dall'antichità ne celebra la memoria. 
La decapitazione lo fa invocare in Arezzo contro i mali della testa e patrono dei barbieri.
II suo corpo fu sepolto in una collina non lontano dalla città di Arezzo, attualmente il suo corpo, trovato incorrotto, è nella Cattedrale della città. Il culto di San Donato si espanse rapidamente in tutta la cristianità.
Ovunque nel mondo cristiano sorgono chiese, cattedrali, paesi a lui dedicati.
Popoli interi lo eleggono a speciale patrono, come i Bizantini e soprattutto i Longobardi, ed addirittura la Casa Imperiale d'Asburgo l'annovera tra i suoi santi protettori.