La mia Venosa

Descrivo in queste pagine la mia città, la mia Venosa.
Narro la Venosa che a me piace.
La Venosa storica e culturale; quella ricca di tradizioni e di valori.
Parlo della Venosa nella quale mi riconosco e nella quale sono cresciuto.
Questa è la Venosa che voglio cantare.

martedì 25 aprile 2017

25 Aprile San Marco Evangelista

“Pax tibi Marce evangelista meus”

Il 25 aprile la Chiesa festeggia San Marco Evangelista.

A Venosa vi sono almeno tre elementi dedicati all’Evangelista; due documenti sono presenti all’interno della Cattedrale, l’altro elemento è la Fontana di San Marco.

Il primo elemento di cui voglio parlare è il particolare di un affresco raffigurante l’Evangelista Marco, che si trova in una lunetta di una cappella laterale nella Cattedrale di Sant’Andrea di Venosa.
Il dipinto ci è giunto in un cattivo stato di conservazione; anche se l’affresco è molto rovinato, si evidenzia l’evangelista Marco nell’intendo di scrivere il suo vangelo.
Cattedrale di Venosa: particolare di un affresco raffigurante l’Evangelista Marco, che si trova in una lunetta di una cappella laterale nella Cattedrale di Sant’Andrea.

San Marco è ritratto seduto, presenta una folta barba ed il suo sguardo sembra proteso al cielo, indossa una tunica di colore grigio, dalla spalla destra scende un ampio mantello giallo che lo avvolge e ricopre le sue gambe.

In alto, a sinistra dell’evangelista, è posizionato un angelo, segno di ispirazione divina, impugna una penna d’oca nella mano destra, e regge con la mano sinistra il suo libro, dal quale si scorgono alcune lettere, dinanzi al vangelo scorge la testa di un giovane leone, simbolo dell’evangelista.
Marco infatti è simboleggiato nel leone, perché il suo Vangelo comincia con la predicazione di Giovanni Battista nel deserto, dove c'erano anche bestie selvatiche.

Il secondo elemento che voglio presentare è un bassorilievo, che si trova appena entrati in chiesa, nella navata di sinistra. 
Cattedrale di Venosa: bassorilievo che raffigura solo tre dei quattro evangelisti: Luca, Matteo e Marco

Il bassorilievo raffigura solo tre dei quattro evangelisti: a sinistra l’evangelista Luca, simboleggiato dal bue alato; al centro un angelo in posizione eretta e benedicente o un Uomo con grandi ali, simbolo dell’evangelista Matteo; ed infine sulla sinistra Il leone alato che è il simbolo di San Marco perché il suo Vangelo inizia con la voce di San Giovanni Battista, che si leva nel deserto come il ruggito di un leone; manca il quarto elemento del “tetramorfo”: l’aquila, simbolo dell’unico evangelista apostolo, cioè Giovanni.
Cattedrale di Venosa: bassorilievo, che si trova appena entrati in chiesa, nella navata di sinistra: che raffigura solo tre dei quattro evangelisti: Luca, Matteo e Marco.

È facile vedere nelle chiese, sui Lezionari, sui leggii o nelle decorazioni di amboni, pulpiti ed altari, la riproduzione dei quattro animali simboli degli evangelisti.

È il "tetramorfo" (come dicevo sopra) o la Sacra Quadriga,

il misterioso cocchio di Dio, condotto, secondo una visione del profeta Ezechiele, ripresa dall'Apocalisse, da quattro "esseri viventi" che avevano sembianza di uomo, di leone, di bove e di aquila.
Gli antichi autori cristiani applicarono agli evangelisti le simboliche sembianze della profezia, riconoscendo nel Vangelo il nuovo trono di Dio.

Il terzo elemento è architettonico e mi riferisco alla bellissima Fontana detta di San Marco, della prima metà XIV sec, che si ergeva di fronte alla chiesa omonima, che si trova in via Roma ormai da lungo tempo in uno stato pietoso di abbandono e di degrado.
Venosa: Fontana di San Marco (XIV secolo).

La sua esistenza è documentata a partire dalla prima metà XIV secolo e la sua costruzione si suppone si deve al privilegio concesso da re Roberto con il quale si consentiva alla città di avere le fontane nel centro abitato. 
E’ detta di San Marco perché si ergeva di fronte alla chiesa omonima.

Della vita di Marco si conosce poco, ma l’opera immensa che ci ha trasmesso è alla base della dottrina Cristiana e di tutta la cultura occidentale. Marco fu discepolo di San Pietro ed egli scrive il vangelo per tutti i popoli.



Nato probabilmente in Cirenaica circa nel 20 d.C., l’attuale Libia, in una famiglia agiata che gli permise gli studi del latino, dell’ebraico e del greco. San Marco evangelista (in ebraico מרקוס, in greco Μάρκος.

Quando tribù barbare invasero la sua città, Cirene, la sua famiglia si rifugiò a Gerusalemme.
Qui si racconta che rimase orfano e che la madre ospitò nella sua villa Gesù e gli Apostoli.
Questa villa con annesso l’Orto degli Ulivi dovrebbe essere anche stata la sede dell’Ultima Cena.
Ma questi aneddoti non sono certi.
Nel 60 d.C. San Pietro lo cita in una poi San Marco seguì San Paolo nella capitale dell’Impero dove divenne fedele collaboratore di San Pietro.
Venne quindi inviato ad evangelizzare il nord Italia e nel viaggio verso Aquileia si fermò sulle isole Rialtine primo nucleo della futura Venezia.
In sogno gli apparve un Angelo che lo salutò “Pax tibi Marce evangelista meus” e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.
Pasquale Ottino: San Marco scrive il suo vangelo su dettatura di San Pietro

Poi San Pietro inviò San Marco ad Alessandria d’Egitto dove proseguì la sua missione e dove trovò la morte probabilmente un 25 aprile tra il 68 e il 72.
Secondo alcuni per morte naturale, per altri come martire.

venerdì 14 aprile 2017

Le straordinarie coincidenze della Spina di Gesù

Il prodigio della Sacra Spina
di Andria e di Venosa

In occasione del Venerdì Santo voglio mettere in evidenza un fatto storico eccezionale, che per ben 38 anni ha interessato la nostra Venosa.

La Sacra Spina è una reliquia, che la tradizione vuole sia appartenuta alla corona di spine di Gesù, conservata e venerata attualmente nella cattedrale di Andria, ma che, come dicevo sopra, per 38 anni è stata ospitata a Venosa.
Ma prima di descriverne i fatti che riguardano la città di Andria e quella di Venosa, vediamo cos’è la Sacra Spina, cos'ha di misterioso ed valutiamo la sua autenticità.
Di prodigioso, di miracoloso ed incredibile a credere è ciò che accade alla Sacra Spina nella straordinaria coincidenza di due date: la Sacra Spina infatti, mostra delle modificazioni negli anni in cui il giorno dell'Annunciazione a Maria (25 marzo) coincide con il Venerdì Santo.
Le macchie di colore scuro presenti sulla Sacra Spina modificano il loro colore ed il loro aspetto rigonfiandosi, le macchie si ravvivano e rosseggiano addirittura di fresco sangue sorprendentemente visibili ad occhio nudo.
La data del prodigio, il 25 marzo, secondo la teologia di alcuni Padri della Chiesa e del Medioevo, era non solo la data dell’Annunciazione del Signore, ma anche il giorno della sua Morte, nonché la data della creazione del mondo. Il 25 marzo racchiude quindi la completezza e la totalità del mistero della salvezza.
« Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare. Intanto i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, lo rivestirono di un manto di porpora, e andandogli davanti, dicevano: 'Salve, o re dei Giudei' e gli davano schiaffi. » (Giovanni, 19, 1-4).
(Statua in gesso del Gesù morto e particolare dell' angelo che regge la corona di spine, appartenente alla confraternita del SS Sacramento della Cattedrale di Sant'Andrea. Statua databile al XVII sec)
Riporto fedelmente ciò che ha verbalizzato Monsignor Emanuele Merra, testimone oculare, durante l’avvenimento prodigioso del 1910, egli così descrive la reliquia: “La Sacra Spina di Andria è della lunghezza di circa quattro dita, e della grossezza di un grosso filo di spago nel suo basso finimento. Il suo colorito è cenerognolo, ad eccezione della punta semifranta, che va a finire ad ago, ed è di colore sub-scuro. In essa si veggono quattro macchie di colore violeceo nella parte di dietro alla curvatura, ed un’altra parte davanti, oltre a molti punti a stento visibili”.


La Sacra Spina rapita e ritrovata a Venosa
Il 23 marzo 1799 l’esercito repubblicano francese al comando del generale Broussier, riuscì a sfondare le mura di cinta di Porta Castello e saccheggiò, incendiò, distrusse e seminò morte per ogni via e casa della città di Andria. In questo triste giorno, era un Sabato Santo, perirono 687 andriesi.
Il prezioso reliquario della Sacra Spina, con altri oggetti d’argento, fu rubato dai francesi e venduto all’asta a Barletta.
Un certo Michele Miseo, ricco proprietario terriero di Spinazzola, comprò la Sacra Spina, senza reliquiario, e la portò nel suo paese.
Dal Miseo, morto nel 1807, la Sacra Spina passò alla vedova, Angela Saccina, che la lasciò nel 1815 al canonico cantore Vincenzo Maria Spada di Spinazzola, il quale la donò a suo nipote Raffaele Spada, e questi al vescovo di Venosa mons. Federico Guarini.
Alla sua morte, nel settembre del 1836, il vescovo la lasciò al suo fidato cameriere, Gaetano Montedoro.
Dopo 38 anni, dal 1799 al 1837, la Provvidenza volle che la Sacra Spina fosse recuperata.
Ecco come accaddero i fatti.
(Statua in gesso del Gesù morto, appartenente alla confraternita del SS Sacramento della Cattedrale di Sant'Andrea. Statua databile al XVII sec)
Il canonico Giuseppe Luigi Casiero, che aveva sposato un andriese, seppe dalla figlia del cameriere Montedoro dell’esistenza della Sacra Spina, custodita nella sua casa, avendola avuta suo padre in dono da Mons. Guarini.
Il Casiero insistette con la ragazza, così tanto che alla fine ella cedette e gli mostrò la reliquia.
Ora il Casiero sapeva da tempo che gli andriesi erano alla ricerca della Sacra Spina rubata, sicchè, appena poté essere ad Andria, confidò ad amici andriesi di sapere con certezza deve era e chi possedeva la preziosa reliquia.
Tale notizia pervenne alle orecchie di un canonico della cattedrale di Andria, don Antonio Lomuscio, il quale avvicinò il Casiero per saperne di più.
Il Casiero dopo reiterate insistenze, si decise che solo al vescovo di Andria avrebbe rivelato il suo segreto.
In quel tempo, era il 1837, vescovo di Andria era Mons. Giuseppe Cosenza, divenuto poi arcivescovo cardinale di Capua.
Il presule andriese prese subito i contatti con Venosa, fece fare un’accurata indagine e chiese di riavere la reliquia. In breve l’urna d’argento in cui era custodita la Sacra Spina con varie altre reliquie, venne prelevata dalla casa Montedoro e portata in casa del pro-vicario generale di Venosa, don Vincenzo Maria Calvini, il quale la pose nel suo oratorio privato, e in presenza di vari testimoni, aprì l’urna, prese la Spina, la fece esaminare con accurata diligenza da canonici andriesi e si riconobbe che era proprio la Sacra Spina di Andria, corrispondente alla descrizione dell’atto pubblico redatto il 18 marzo 1785.
La Sacra Spina fu riportata ad Andria, accolta dal popolo festante, il 31 ottobre del 1837; il 10 novembre, in maniera straordinaria, si rinnovò il prodigio del ravvivarsi delle macchie.



Date documentate dell’avvenuto prodigio:
La tradizione, infatti, vuole che il verificarsi o meno del prodigio venga ufficialmente constatato da un notaio e da una commissione di esperti, come già avvenuto il 25 marzo degli anni 1633, 1644, 1701, 1712, 1785, 1796, 1842, 1853, 1864, 1910, 1921, 1932, 2005 e 2016.
A voler essere precisi, non sempre il miracolo ha avuto luogo in questa circostanza.






La Sacra Spina oggi.
Dopo il prodigio del 2005 la Sacra Spina è ancora oggi oggetto di venerazione e di interesse: l’ultimo venerdì di ogni mese essa viene esposta alla venerazione; durante i venerdì di quaresima è meta di pellegrinaggi.

Cenni di Storia
Con Carlo d’Angiò alcune spine arrivano in Italia, incrociandosi con la storia di Andria, dove la presenza della Sacra Spina in Andria è registrata fin dalla primavera del 1308, allorché Beatrice d'Angiò, figlia di Carlo II d'Angiò e sposa novella di Bertrando del Balzo, duca di Andria, la offri come dono e segno della sua benevolenza al Capitolo Cattedrale della città.
I Regnanti della casa d'Angiò regalarono a molte città del Regno delle due Sicilie, varie reliquie della Corona di Spine.
Infatti era stato proprio S. Luigi IX, fratello di Carlo I d'Angiò, ad accogliere in Francia nel 1238 quel diadema doloroso della Passione di Cristo...
Carlo I d'Angiò, logorato ormai dalla fatica e dai dolori e sentendo approssimarsi la morte, dopo aver fatto testamento, con il quale designava il suo successore, morì il 7 gennaio 1285.
Nella sua ultima preghiera protestò che la conquista del Regno di Sicilia egli l'aveva compiuta soltanto per servire la Santa Chiesa, non per suo profitto o per cupidigia.
Anche se il risultato militare e la sagacia politica gli avevano assicurato la stabilità della dinastia e del potere, c'è da considerare che agli occhi delle città conquistate era sempre un usurpatore. Perciò per accattivarsi l'amicizia e l'obbedienza delle città, necessariamente doveva far ricorso a tutti i mezzi; e tra tutti i mezzi certamente era molto efficace quello della devozione e della religione, presso popolazioni che all'epoca vivevano il rapporto con il soprannaturale fortemente mediato da segni sensibili come penitenze a volte eccessive, pellegrinaggi in luoghi famosi (Terra Santa - Compostela - Roma) e reliquie.
Quale reliquia più preziosa di una Sacra Spina?
Ecco allora che negli accordi con le autorità civili ed ecclesiastiche entrava nel pacchetto dei favori, delle elargizioni, dei titoli e dei privilegi anche la Sacra Spina che, proprio lui, fratello di San Luigi IX, aveva portato dalla Francia, ultimo approdo della Corona di Spine di N.S. G. C. E la consuetudine continuò anche con i suoi successori.
Da quel momento in tutta l'Europa queste reliquie si moltiplicarono, incredibilmente, si che il loro numero (attualmente si contano oltre cinquecento esemplari, ma il loro elenco si allunga di giorno in giorno), fa seriamente dubitare della loro autenticità.


Ed è difficile poter distinguere le vere dalle false.
(Particolare del Crocifisso appartenente alla Confraternita di San Rocco dell'omonima chiesa)




sabato 8 aprile 2017

Gli "Apostoli di Sant'Andrea" - San Matteo

San Matteo

Il quadro fa parte, di una serie di dipinti attribuiti al pittore locale Giuseppe Pinto, quadri con cornici mistilinee, che corrono lungo le pareti perimetrali della Cattedrale di Venosa (PZ) e rappresentano i SS. Apostoli.
Il dipinto è collocato in alto, al di sopra della porta dell’attuale sacrestia sulla navata di sinistra.
Il ciclo dei quadri è composto da dodici dipinti delle medesime dimensioni, più uno notevolmente più grande che rappresenta Sant'Andrea, a cui la chiesa è dedicata.
I quadri sono dipinti ad olio su tela.
Nell’iconografia della nostra Cattedrale Matteo è rappresentato con i capelli lunghi ricci rivolti all’indietro, ed una corta barba.
Ha un aspetto imperioso ed autoritario, poiché ritenuto colto ed autoritario, il suo lavoro infatti, esigeva autorità per la riscossione dei tributi.
Ha la postura di un dignitario romano, infatti indossa un mantello simile ad una toga romana di colore rosso porpora, la tunica con colletto aperto di color azzurro cobalto e maniche rimboccate; pare che tra tutti gli Apostoli ritratti, sia quello vestito meglio di tutti, in quanto benestante.
È raffigurato mentre regge con la mano sinistra un grande libro, sul quale si scorge facilmente la scritta: “SEQUENTIA SANCTI EVANGELII SECUNDUM MATTHAEUM”; con la mano destra impugna una penna d’oca nell’atto di scrivere il “suo” vangelo.
Il nome Matteo deriva dall’ebraico e significa “dono di Dio”.
Egli è originario di Cafarnao, era figlio di Alfeo, viene anche chiamato Levi o pubblicano, per il suo lavoro, egli infatti faceva l’esattore delle tasse.
Egli non fu solo apostolo ma anche evangelista, infatti scrisse il vangelo omonimo.
In analogia al suo lavoro egli è il protettore dei bancari, dei contabili, e dei ragionieri e viene evocato per la redenzione dei peccati.
Egli fu ucciso su un altare con un’accetta, a causa della sua opposizione al matrimonio della figlia del re Agrippa, che si era convertita al cristianesimo.
Per il suo martirio due dei suoi attributi sono l’alabarda e l’accetta, però l’attributo che lo contraddistingue più di tutti è un uomo alato o l’angelo, che l’aiutò nella stesura del vangelo.
Il ciclo dei dipinti, come dicevamo sopra, è attribuito dalla storiografia al pittore Giuseppe Pinto di presunte origini locali, operante a Venosa nel secolo XVII.
Bisogna dire però ancora una volta, che i dipinti pur essendo di notevole fattura, purtroppo si apprezzano poco, perché collocati troppo in alto per ammirarne la bellezza e le caratteristiche, prima del restauro erano addirittura contornate da maestose cornici barocche.

domenica 2 aprile 2017

SS Trinità: l'Altare della transumanza.

Questo è l'altare barocco che si trova in fondo alla navata di destra dell'Abbazia della SS Trinità di Venosa (PZ) così come lo vediamo oggi, ma fino al 1960, secondo alcuni storici e documentazioni fotografiche, si trovava sul lato sinistro della chiesa in fondo alla navata, dove attualmente c'è l'accesso alla sacrestia.

L’ antico altare ligneo barocco, databile al XVI sec. riccamente lavorato, intarsiato e dorato su fondo verde scuro è dedicato oltre che alla SS Trinità ai Santi Martiri.

L’altare sembrerebbe in netto contrasto con tutto il complesso della SS Trinità, sia per stile artistico che per epoca ed infatti lo è.

L’intendo dei committenti era proprio quello di toccare direttamente l'animo e i sentimenti della gente e per far questo era necessario che l’opera assumesse forme grandiose e monumentali, con l’intento di evidenziarne la ricerca del movimento attraverso superfici curve e ricche di elementi decorativi, per creare qualcosa di diverso dal contesto già presente nell’antica Abbazia; era fondamentale ideare un’opera fuori misura, cioè diversa dai classici schemi; offrire qualcosa di eccentrico, eccessivo, bizzarro, ridondante, ma soprattutto che tendesse a privilegiare l’aspetto esteriore più che i contenuti interiori; era doveroso ostentare la potenza e la ricchezza dei committenti, così come è nello spirito e nello stile del barocco.

L’altare infatti, esempio magnifico di barocco meridionale è stato offerto e donato nei primi anni del seicento dai pastori abruzzesi e calabresi (secondo un’iscrizione che anticamente era ai piedi dell’altare stesso, oggi sparita); sono loro infatti i committenti, che per secoli, percorrendo i vecchi e regi tratturi della transumanza, facevano tappa a Venosa, venendo ad omaggiare la SS Trinità ed ad implorare benedizioni per i loro armenti, prosperità per le loro mandrie e protezione per il lungo viaggio.
 




Questo altare naturalmente i pastori abruzzesi e calabresi vollero dedicarlo alla divinità più alta, più suprema, che è la SS Trinità.
Devo dire però che oltre alla SS Trinità l’altare è dedicato ad alcuni santi martiri, poiché sotto il suo altare sono custodite le sante reliquie dei Martiri Attanasio, Senatore, dei fratelli Cassiodoro e Viatore e della loro madre Dominata, reliquie molto venerate un tempo. Questi martiri sono tutti ricordati nel Martirologio Romano nel mese di Ottobre.

Ricordo che l’Abbazia della SS Trinità di Venosa, trovandosi sul vecchio tracciato della Via Appia, per tutto il medioevo, insieme al Santuario di San Michele del Gargano, era uno tra i più importanti, se non il più importante santuario del centro-sud ed era tappa obbligata per tutti coloro che si recavano in Terra Santa. Roberto il Guiscardo nel 1059 in occasione del concilio di Melfi, invitò il Pontefice Niccolò II a Venosa per la consacrazione del tempio, il Papa venne ed oltre alla consacrazione, viste le immense ricchezze e le rendite che essa portava, trasformò la chiesa da Cattedrale in Abbazia e la assoggettò direttamente alla Santa Sede per rimpinguare le casse papali. Da lì a poco Urbano II avrebbe bandito la I crociata in Terra Santa.



La grande tela centrale che troneggiava l’altare, oggi non c’è più, perché rubata negli anni ’60 insieme ad altri importanti e ricchi ornamenti che abbellivano l’intero altare.
Oggi, a coprire il quadro mancante c’è un grande Crocifisso, intorno al quale corre una bella cornice che avrebbe dovuto custodire la tela.

























Sul fondo, ai lati del grande Crocifisso, si apprezzano dei ricchi motivi ornamenti floreali intarsiati, raffiguranti riproduzioni allegoriche, come angeli e paffuti putti corredati da insegne militari, quali spade, lance, trombe da guerra e parti di armature, come cimieri ed elmi cavallereschi, tipiche del tempo, come segno di forza ed ostentazione di potenza.
Ai bordi laterali dell’altare, distaccate dal fondo, si ergono superbe due stupende colonne tortili, anch’esse finemente lavorare e ricche di ornamenti floreali, come i tralci della vite e dell’uva, segni riconoscibili del sacramento eucaristico e di figure allegoriche come putti ed angeli, simboli di grazia ed abbondanza.




Non esagero affermando che queste due colonne, anche se lignee in quanto a bellezza e stile, non hanno nulla da invidiare a quelle più famose del Baldacchino del Bernini di San Pietro in Vaticano.
Alla sommità delle colonne sono collocati due straordinari capitelli corinzi, anch’essi lignei di stile italico.
Le due colonne tortili sorreggono un ponte ricco di intarsi e di motivi floreali. Al centro del ponte campeggia una mitria pastorale, segno e simbolo di sede vescovile.





























Al di sopra del ponte è collocato, secondo il più classico stile barocco, un trono, sorretto da due putti, è un tripudio di ali e di ornamenti floreali intrecciati tra di loro, ed al centro di un sole raggiante c’è una librante colomba, che è lo Spirito Santo; è il trono di Dio.

Purtroppo al lati del trono, in corrispondenza delle colonne, c’è un evidente ed imbarazzante vuoto; infatti avrebbero dovuto esserci due elementi architettonici molto importanti a corredo e completamento dell’altare: avrebbero dovuto esserci due cavalieri alati con rispettivi cavalli, lignei e dorati anch’essi, ma purtroppo come dicevo prima a metà degli anni ‘60 sono stati rubati con la tela centrale dell’altare e mai più ritrovati.


Di tutta questa meraviglia dell’originale altare barocco non ci resta che una sbiadita foto dell’epoca e solo grazie a questa immagine possiamo oggi solo immaginare e virtualmente vedere come e quanto bello dovesse essere questo capolavoro dei maestri del XVI secolo qui a Venosa.