La mia Venosa

Descrivo in queste pagine la mia città, la mia Venosa.
Narro la Venosa che a me piace.
La Venosa storica e culturale; quella ricca di tradizioni e di valori.
Parlo della Venosa nella quale mi riconosco e nella quale sono cresciuto.
Questa è la Venosa che voglio cantare.

lunedì 28 marzo 2022

La Trasfigurazione

 

La Trasfigurazione
Di Vincenzo Giaculli
E’ la seconda tela del pittore Nicola Marangelli di cui voglio parlare, dipinta alla fine XVII secolo ed anch’essa è custodita all’interno della Cattedrale di Venosa (PZ).
Il pittore, di probabili origini locali, era attivo nella città oraziana tra la fine del XVII e gli inizia del XVIII secolo ed il dipinto costituisce l'unica testimonianza riconosciuta del pittore.
La Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Basilicata ci dice che la "tela rivela caratteri stilistici molto affini alla tela 'gemella' della “Noli me tangere”, ci dice anche che il disegno è vibrante, le figure sono allungate ed i colori vivaci e che compositivamente l’artista è ancora legato ad uno schema tardo-manierista".
La trasfigurazione di Gesù è un episodio della vita di Gesù Cristo descritto dai tre vangeli sinottici: Matteo 17,1-8; Marco 9,2-8; Luca 9,28-35.
Gesù, dopo essersi appartato con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, su un’alta montagna per pregare, alcune tradizioni lo hanno identificato con il monte Tabor.
All’improvviso, durante la preghiera cambia d'aspetto, mostrandosi ai tre discepoli con uno straordinario splendore della persona e con una stupefacente bianchezza delle vesti.
In questo due uomini misteriosi, che si rivelano essere Mosè ed Elia, appaiono nello stesso luogo e iniziano a conversare con Gesù e parlano del suo esodo (morte e risurrezione) che sta per compiersi a Gerusalemme.
Pietro si offre di erigere tre capanne per Gesù e i due Profeti, ma una voce scaturisce da una nube luminosa e intima ai discepoli di prestare orecchio a Gesù, in quanto suo Figlio eletto e amato. I tre discepoli a questo punto vengono colti dallo sgomento, e quando si riprendono i profeti e la nube sono scomparsi, e loro sono rimasti sul monte con Gesù.
Nell'antichità salire sul monte era compreso come il luogo dell'abitazione della divinità, si entra quindi in una dimensione divina. Infatti, Gesù vi sale "per pregare", quasi a dire che la preghiera eleva e fa entrare l’uomo in una dimensione divina.
Sono tre almeno i monti collegati alla vita di Gesù: il Sinai, Il Tabor ed il Golgota, escludendo quello del discorso della montagna
Come Mosé, salito sul monte Sinai con tre persone in rappresentanza del popolo, anche Gesù qui sale il monte di Dio, identificato dalla tradizione come il monte Tabor, con tre discepoli, rappresentanti anch’essi della nuova comunità messianica, e poi salì sul Golgota, seguito sempre anche se a distanza da tre personaggi, da Maria, Giovanni e Maria Maddalena.
Salito al monte, una nube improvvisa avvolge improvvisamente Gesù e i tre apostoli.
Questa nuvola fa da cornice alla scena, che esprime una manifestazione divina, perché indica la presenza di Dio
I corpi di Cristo, Mosè ed Elia sembrano librarsi nel cielo sorretti da una corposa nuvola, questa scena ci suggerisce molto sorprendentemente il moto ascensionale della resurrezione.
Il volto di Cristo emana una luce divina, risplende “come il sole”; in questo momento
Gesù nello splendore del volto e delle vesti svela la sua identità divina. Ciò è l’anticipazione della sua Resurrezione.
Improvvisamente la gloria del Cristo trasfigurato agli occhi degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni è talmente luminosa e carica di luce che non “può essere vista”: i tre apostoli, che inizialmente stanchi, riposavano, sono scaraventati a terra, debbono “proteggersi” da quell’irradiazione luminosa. È in atto una sorta di trasformazione, che muta l’aspetto di umano di Gesù, fino a renderlo diverso da come appariva precedentemente, avviene una teofania.
Vi è un forte simbolismo che caratterizza tutta l’opera.
La nuvola splendente da cui emerge la voce di Dio è un elemento ricorrente nelle teofanie, ovvero le apparizioni del divino tra gli uomini.
Mosè ed Elia rappresentano la volontà di rifarsi alla tradizione ebraica e alle profezie sulla venuta del Messia contenute nell’Antico Testamento.
Sempre legate alla tradizione antica sono le tre capanne, che Pietro si offre di costruire; queste rimandano all’accampamento degli ebrei presso il monte Sinai, quando Mosè ricevette le tavole della legge, e che venivano ricordate dal popolo ebraico proprio come con la Festa delle Capanne.
Anche i colori fanno parte degli elementi attraverso i quali i sensi apprendono la realtà.
Cristo
Il Marangelli ha raffigurato Gesù in una posa plastica e teatrale, una figura maestosa, trionfante e gloriosa, se non ci fossero stati i due profeti ci troveremmo davvero ad assistere alla scena della resurrezione.
La figura del Cristo benedicente si trova in una posizione centrale ed elevata, a formare la tradizionale piramide compositiva, centro ideale della composizione.
Irradia ed illumina chi lo circonda di una luce raggiante.
Gesù indossa una veste bianca ed è avvolto in un ampio ed arioso manto blu.
Il bianco è legato per simbologia alla divinità.
È il colore della rivelazione, della Trasfigurazione abbagliante che rivela l’identità di Dio.
Il blu invece è il colore della Saggezza e della Verità divina.
Il blu è il colore detto “mistero degli esseri”, perché tra tutti gli irradiamenti cromatici, quello del blu è il più spirituale, è il colore dell’allegoria della Fede, che è la prima virtù teologale.
Elia
Elia rappresenta le profezie sulla venuta del Messia contenute nell’Antico Testamento.
Il profeta è posto alla destra del Cristo.
È rappresentato con barba e capelli lunghi e grigi.
È in ginocchio con le mani giunte con lo sguardo rivolto a Gesù.
Il profeta indossa una veste commista verde-azzurro zaffiro ed un mantello rosso.
Le cronache ci dicono che Elia, profeta del X sec a.C. indossasse un mantello di pelle rozzo, come otto secoli dopo vestì Giovanni Battista, di cui egli è la prefigurazione.
In questa tela il Marangelli non ce lo presenta solo come prefiguratore del solo Giovanni Battista, ma addirittura di Cristo stesso, facendogli indossare un mantello rosso vivo.
Tra tutti i colori, il rosso è il più appariscente, manifesta il fuoco dell’amore di Dio. Rosso è il colore di chiunque arde d’amore per Dio, è il carro di fuoco, guidato da Dio sul quale vi salì il profeta Elia. Il rosso è il colore che richiama metaforicamente il sangue versato dal Cristo ed è il simbolo della gloria.
Il rosso raffigura la Carità, che è la terza virtù teologale.
L’azzurro dello zaffiro invece è il colore della Saggezza e della Verità divina ed è eccezionalmente riservato a coloro che “videro Dio” è accompagnata dall’indicazione di un colore,
Mosè
Mosè rappresenta la tradizione ebraica.
È posizionato alla sinistra di Gesù, in ginocchio ed in atteggiamento contemplativo, anch’egli presenta barba e capelli bianchi; regge con la mano sinistra le Tavole della Legge.
Veste una tonaca di colore celeste.
È simbolo di totale rinascita ed è simbolo anche della speranza, che è la seconda virtù teologale.
Due raggi di luce emanano dalla sua fronte segno inequivocabile che anch’egli “vide Dio”.
Infatti Nicola Marangelli ci presenta Mosè come prefiguratore di Cristo, essendo Cristo stesso venuto a completare la Legge.
Egli è ricoperto da un manto color senape cinto ai fianchi.
Nel linguaggio cristiano questo colore, rappresenta il rinnovamento spirituale, prefigurazione della venuta di Cristo e nell’iconografia è usato spesso per le vesti di profeti, proprio come il nostro Mosè.
Una scritta in latino attorno al capo del Cristo forma un ampio cerchio immaginario che recita così:
“E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Hic est Filius Meus dilectus in quo mihi bene complacui Ipsum audite.”
È la voce di Dio che svela in modo inequivocabile l’identità divina di Gesù.
La figura del Cristo, eroicamente rappresentato dal Marangelli, con la sua statuaria serenità si contrappone alla concitazione e al movimento dei personaggi della parte inferiore del dipinto.
Pietro
Pietro è messo in primo piano sulla destra della tela, sembra si sia appena svegliato da un grande clamore, è la persona di tutta la composizione più spaventata, turbata e confusa: “Egli non sapeva quel che diceva”.
il Marangelli ha voluto affidare a Pietro, capo degli apostoli, questo sentimento di smarrimento che tutti i discepoli stavano vivendo.
Pietro incarna i sentimenti umani di tutti, infatti è ritratto seduto per terra, con la mano sinistra all’altezza del viso, quasi a proteggersi da chissà quale pericolo, ma con lo sguardo mutato in brevissimi attimi dall’incredulità, in meraviglia fino alla beatitudine: “Maestro, è bello per noi essere qui …”.
Giovanni, giovane imberbe, posto in primo piano sulla sinistra, come sul monte degli ulivi, preso dalla stanchezza viene ritratto addormentato.
Giacomo invece, posto in secondo piano sulla sinistra, rendendosi conto di ciò che sta accadendo è in atteggiamento di preghiera.
Il "Noli me tangere", immediato alla Resurrezione, e la Trasfigurazione del pittore “locale” Nicola Marangelli sono tra i quadri più belli e scenografici che si trovano all’interno della Cattedrale di Venosa (PZ).
Nelle sue tele il Marangelli ci ha rivelato le sue competenze teologiche e ci ha anche mostrato le sue doti artistiche, trasformando in bellezza due misteri della cristianità come la Risurrezione e la Trasfigurazione, rendendole comprensibili a tutti.
Senza bellezza non possiamo vivere. Lo sappiamo, ne abbiamo bisogno.
Bellezza dello spirito, bellezza morale, della natura, bellezza dell’arte, bellezza dei gesti e di tutto ciò che ci circonda, rinunciando alla bellezza distorta ed effimera.
Bellezza che ci eleva e ci porta, in qualche modo, sempre verso Dio.
La capacità di meravigliarsi e di godere della bellezza è l'elemento che ci caratterizza e che ci permette di distinguerci da tutte le altre specie.
La bellezza salverà il mondo, ma di questa bellezza dobbiamo diventarne riflesso, facendoci noi stessi portatori di bellezza.









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