La mia Venosa

Descrivo in queste pagine la mia città, la mia Venosa.
Narro la Venosa che a me piace.
La Venosa storica e culturale; quella ricca di tradizioni e di valori.
Parlo della Venosa nella quale mi riconosco e nella quale sono cresciuto.
Questa è la Venosa che voglio cantare.

lunedì 28 marzo 2022

Il mio Orazio. «O Sole fonte di vita,

 Il mio Orazio.

«O Sole fonte di vita,
che con il carro splendente mostri e nascondi il giorno,
e che sempre vecchio e nuovo risorgi,
che tu non possa mai vedere nulla di più grande della città di Roma.»
Dal: Carmen Saeculare
Il "Carmen Saeculare" è un inno in diciannove strofe saffiche composto da Quinto Orazio Flacco.
Fu cantato il 3 giugno del 17 a.C. sul Palatino e sul Campidoglio da un coro di giovani fanciulle durante i Ludi saeculares, voluti dall'imperatore Augusto per celebrare la venuta dell'età dell'oro preannunciata dalla IV egloga di Virgilio.
Il carme secolare è la celebrazione di Augusto e della potenza di Roma sul mondo.
Esso esprime l'augurio che essa non possa mai morire ed un'invocazione agli dei di modo che diano lunga prosperità ai romani. Il carme risulta una preghiera perfetta, rappresenta l'apoteosi della cultura pagana e il culmine stilistico più alto della poesia di Orazio.
Carmen Saeculare - Testo originale
Phoebe silvarumque potens Diana,
lucidum caeli decus, o colendi
semper
et culti, date quae precamur
tempore sacro,
quo Sibyllini monuere
versus
virgines lectas puerosque castos
dis, quibus septem placuere
colles,
dicere carmen.
alme Sol, curru nitido diem qui
promis et
celas aliusque et idem
nasceris, possis nihil urbe Roma
visere maius.
Rite maturos aperire partus
lenis, Ilithyia, tuere matres,
sive tu
Lucina probas vocari
seu Genitalis:
diva, producas subolem patrumque
prosperes decreta super iugandis
feminis prolisque novae feraci
lege marita,
certus undenos deciens per annos
orbis ut cantus
referatque ludos
ter die claro totiensque grata
nocte frequentis.
Vosque, veraces cecinisse Parcae,
quod semel dictum est stabilisque
rerum
terminus servet, bona iam peractis
iungite fata.
fertilis
frugum pecorisque Tellus
spicea donet Cererem corona;
nutriant fetus
et aquae salubres
et Iovis aurae.
condito mitis placidusque telo
supplices audi pueros, Apollo;
siderum regina bicornis, audi,
Luna, puellas.
Roma si vestrum est opus Iliaeque
litus Etruscum
tenuere turmae,
iussa pars mutare lares et urbem
sospite cursu,
cui per ardentem sine fraude Troiam
castus Aeneas patriae superstes
liberum munivit iter, daturus
plura relictis:
di, probos mores
docili iuventae,
di, senectuti placidae quietem,
Romulae genti date
remque prolemque
et decus omne.
Quaeque vos bobus veneratur albis
clarus Anchisae Venerisque sanguis,
impetret, bellante prior, iacentem
lenis in hostem.
iam mari terraque manus potentis
Medus Albanasque
timet securis,
iam Scythae responsa petunt, superbi
nuper et Indi.
iam Fides et Pax et Honos Pudorque
priscus et neglecta redire Virtus
audet adparetque beata pleno
Copia cornu.
Augur et fulgente
decorus arcu
Phoebus acceptusque novem Camenis,
qui salutari levat
arte fessos
corporis artus,
si Palatinas videt aequos aras,
remque Romanam Latiumque felix
alterum in lustrum meliusque semper
prorogat aevum,
quaeque Aventinum tenet Algidumque,
quindecim
Diana preces virorum
curat et votis puerorum amicas
adplicat auris.
Haec Iovem sentire deosque cunctos
spem bonam certamque domum reporto,
doctus et Phoebi chorus et Dianae
dicere laudes.


Traduzione:
Febo e Diana dea delle foreste,
splendido decoro del cielo, da venerare
e sempre onorati, esaudite le cose che desideriamo
in questi giorni solenni
in cui i versi sibillini prescrissero
che vergini e fanciulli scelti e puri
cantino un inno per gli Dei
che hanno cari i sette colli!
Sole divino, che sul cocchio luminoso dischiudi
e nascondi il giorno sempre nuovo e uguale
sorgi, e nulla maggior di Roma possa tu vedere!
Tu, che sai propizia fai schiudere i maturi parti
come conviene, Ilizia,
e che proteggi le madri,
o che voglia essere chiamata Lucina
o Genitale.
O Diva, fa’ crescere la prole e
prospera i decreti dei Padri per le muliebri nozze,
e per la legge maritale di nuova prole feconda,
onde il giro fissato di cento e dieci anni
riconduca i ludi e i cantici,
affollati tre volte nel chiaro giorno,
e tre volte nella notte gioconda.
Voi che veraci annunziaste, o Parche,
una volta per sempre ciò che il fato disse,
e ciò che i sicuri eventi confermeranno,
aggiungete fati ai fatti antichi buoni già compiuti!
La terra fertile di messi e greggi
Offra a Cerere corone di spighe;
nutrano i frutti l’acque salubri e le aure di Giove!
Placido e mite, ora che hai riposto il dardo,
ascolta, Apollo, i supplici fanciulli;
Luna, bicorne dea degli astri, ascolta tu le fanciulle!
Se Roma è opera vostra, e se le schiere Troiane
approdarono all’etrusco lido
con l’ordine di cambiare dei e città
con un viaggio favorevole,
cui senza infamia tra le fiamme d’Ilio
il casto Enea, superstite della patria,
aprì un cammino libero per dare ai rimasti sorte più grande,
Dei, date buon costume ai giovani sottomessi
e ai vegliardi placida quiete,
e date alla gente di Romolo la potenza,
la discendenza ed ogni gloria;
e quanto, offrendo bianchi buoi,
l’illustre sangue d’Anchise e Venere vi chieda,
egli l’ottenga, egli nell’armi altero,
mite col nemico vinto.
Già teme il Medeo la sua mano,
potente per terra e in mare, e le latine scuri;
già Sciiti ed Indi, poco fa ribelli,
chiedono leggi.
Già Fede e Pace, e Onore e il Pudore prisco
e la Virtù negletta osano tornare;
e già beata col suo corno pieno viene l’Abbondanza.
Se Apollo, adorno dello splendido arco,
augure e amico delle nove Muse,
che ristora le membra stanche con l’arte salutare,
guardi benigno i colli Palatini,
di lustro in lustro proroghi lo stato romano
ed il Lazio a tempi sempre migliori,
e Diana, che possiede l’Algido e l’Aventino,
si curi delle preghiere dei quindecemviri
ed ascolti le suppliche dei giovinetti.
Io porto a casa la buona e sicura speranza
che Giove e tutti i Numi sentano questo,
io dotto nel cantare i canti di Febo e le lodi di Diana.



Nessun commento:

Posta un commento