La mia Venosa

Descrivo in queste pagine la mia città, la mia Venosa.
Narro la Venosa che a me piace.
La Venosa storica e culturale; quella ricca di tradizioni e di valori.
Parlo della Venosa nella quale mi riconosco e nella quale sono cresciuto.
Questa è la Venosa che voglio cantare.

lunedì 28 marzo 2022

La tomba degli Altavilla

 La tomba degli Altavilla

di Vincenzo Giaculli

Tomba degli Altavilla, abbazia della SS. Trinità, Venosa. Roberto il Guiscardo (~1015-1085) ed i suoi illustri fratelli sono sepolti qui.
Entrando nella antica chiesa della SS Trinità (V-XVI sec.) di Venosa (PZ), tra le tante bellezze che attirano l’attenzione del visitatore, ve n’è una davvero singolare, è l’austera tomba del Guiscardo e dei suoi fratelli, edificata al centro della navata di destra.
Il mausoleo degli Altavilla si presenta allo stato attuale semplice ed austero, come una nicchia centinata, sagomata ad arco, che copre un’arca in pietra di forma rettangolare, senza sculture e senza fregi.
A guardalo bene il sacrario, nella sua semplicità e sobrietà non sembra neppure appartenere a dei principi così importanti del medioevo, in effetti non ha neppure uno stile ben preciso.
All’interno vi è un originale affresco (almeno per quel tempo), raffigurante la SS Trinità.
L’affresco, purtroppo è molto rovinato dal salnitro e dai graffiti di vandalici visitatori, databile al XVI sec.
Il dipinto del XVI di autore ignoto, fa del mausoleo di Roberto il Guiscardo e della famiglia normanna degli Altavilla una delle tombe più belle, nella sua semplicità e più originali del tempo.
L’affresco che rappresenta la SS Trinità richiama in modo sorprendente la più famosa “Trinità” dipinta dal Masaccio tra il 1425 e il 1426 a Firenze nella Basilica di Santa Maria Novella.
Tutti gli storici ed i filologi come Emanuele Lauridia (9), Giovanni Crudo (6), Geremia Dario Mezzina (1), Achille Cappellano (4) ed altri concordano nell’asserire che l’attuale sistemazione non è quella originaria, ma si deve ad Aldicino Barba che nel XVI sec. raccolse i resti dei duci normanni dai rispettivi tumuli e li riunì in un’unica arca.
Così ora nessuna lapide, nessun segno è posto a ricordo di Guglielmo “Braccio di Ferro”, Umfredo, Drogone, Roberto “Il Guiscardo”, Guglielmo “Del Principato”.
La scena è rappresentata con volumi ben determinati e semplici privi di ogni fregio e decorazioni: Il trono di Grazia al centro, una cavaliere inginocchio a destra e un altro a sinistra.
L’affresco rappresenta la SS Trinità con Cristo che è sulla croce.
Dio Padre, al di sopra, assiso sul trono ed avvolto in un ampio manto rosso, sostiene le braccia del Cristo e della croce con le braccia larghe.
Tra di loro si libera lo Spirito Santo sotto forma di colomba bianca. Purtroppo la testa del Padre eterno e la raffigurazione dello Spirito Santo sotto forma di colomba bianca, sono andate perdute.
In basso, ai piedi del crocifisso sono raffigurati i due cavalieri medievali inginocchiati, che non sono i committenti; quello sulla destra ha la barba lunga e scusa con capelli corti e folti, ha un libro tra le mani in atteggiamento orante, indossa un’armatura con una lunga spada alla sua sinistra; l’altro a sinistra indossa una nobile veste rossa con cintura e coprispalla scuro, sembra essere più anziano del primo, perché sembra avere la barba ed i capelli bianchi; anch’egli è ritratto in atteggiamento orante con il rosario tra le mani; non sappiamo con precisione chi siano i due cavalieri raffigurati; ai piedi del Crocifisso sono deposte due corone regali di diversa forma, tempestate di grosse pietre preziose.
Il tutto poggia su un grossa lastra di marmo che è pietra tombale del sarcofago, contenenti i resti mortali dei duchi della famiglia normanna degli Altavilla: Guglielmo “Braccio di Ferro”, Umfredo, Drogone, Roberto “Il Guiscardo”, Guglielmo “Del Principato.
Il soggetto principale raffigurato dell’affresco è costituito dalle figure della Trinità, disposte secondo il modello iconografico che va sotto il nome di "Trono di Grazia", con il Padre che regge la croce del Figlio, che si diffuse nella pittura fiorentina alla fine del XIV secolo.
Il Masaccio, come accennavo sopra, fu il primo tra gli artisti a rappresentare questo tema e probabilmente l'ignoto autore si sarà ispirato alla più celebre opera, visto che è stata dipinta circa un secolo dopo.
Nel "Trono di Grazia" Dio è seduto in trono, per evocare il tema del Giudizio universale che segue la Resurrezione.
Il contenuto simbolico ed educativo di questo modo di rappresentare La Trinità spiega ai cristiani come arrivare alla vita eterna.
La narrazione parte dal basso, dalla nuda lastra di marmo del sarcofago, che rappresenta la morte dalla quale ci si può salvare elevandosi verso Dio Padre. Infatti è attraverso la preghiera simboleggiata dai due nobili cavalieri oranti, che si ottiene la fede necessaria per conquistare la vita eterna.
Attraverso l’esempio di Cristo e lo Spirito Santo si giunge così a Dio Padre, che concede la salvezza.
La Trinità è un dogma cristiano ed era di estrema importanza per i monaci benedettini, custodi del Tempio e per i Cavalieri di Malta che amministravano l’Abbazia e alla quale la chiesa stessa era dedicata.
Originariamente, come asseriscono molto illustri studiosi, i prìncipi erano sepolti in tombe singole e su quella del Guiscardo era scritto l’epitaffio a noi pervenuto perché riportato da Guglielmo di Malmesbury.
HIC TERROR MUNDI GUISCARDUS HIC ESPULIT URBE QUEM LIGURES REGEM ROMA ALEMMANNUS HABET PATHUS ARABS MACEDUMQUEPHALANX NON TEXIT ALEXIN AT FUGA SED VENETOS NEC FUGA NEC PALAGUS.
(Questi è IL Guiscardo, terrore del mondo. Egli ha cacciato dall’Urbe colui che i Liguri, i Romani e gli Alemanni ritengono re (Arrigo IV). Il Parto, l’Arabo e la falange dei Macedoni non hanno protetto Alessio (Commeno), ma che nè la fuga nè il mare (hanno protetto) i veneziani).
Sono versi “leonini” curiosi per la loro enfasi ampollosa e per la pedanteria con la quale il compositore impiegava, a torto o a ragione, nomi della geografia antica.
Nel rifacimento cinquecentesco, al posto di questa lezione di storia antica (Frenkel (2)) che disgustò il Gibbon (3) (“non merita di essere trascritta” sentenziò fu apposta un’altra iscrizione dipinta alla men peggio sull’intonaco bianco con vernice nera, riportata dal Lupoli (😎 nel suo “Iter Venusinum”:
DROGONO COMITUM COMITI DUCUM DUCI HUIUSSACRI TEMPLI INSTAURATORI GUILIELMO REGI ROBERTO GUISCHARDO NORMANNO RESTAURATORI FRATRIBUS AC EORUM SUCCESSORIBUS QUORUM OSSA HIC SITA SUNT
(A Drogone, conte dei conti, duce dei dici, fondatore di questo sacro tempio, a Guglielmo (Braccio di Ferro), al re Roberto il Guiscardo restauratore normanno (dello stesso tempio), ai loro fratelli (Umfredo, e Guglielmo del Principato); le ossa dei quali sono qui sepolte ed i loro successori).
Il fatto che queste parole non fossero incise su marmo, ma semplicemente dipinte su intonaco, rende plausibile l’ipotesi di continui rifacimenti e trascrizioni da parte di artigiani incaricati via via di ridipinture e restauri nella vecchia chiesa.
La loro fantasia o la loro mano poco felice potrebbe spiegare perché altri autori (Cappellano (4), Schultz (5), Crudo (6)) riportano le parole latine non solo con qualche variante, ma anche con un diverso allineamento: testo su cinque righe per Lupoli, su quattro righe per Crudo, su undici righe per Schultz!
Ma anche questa trascrizione è andata perduta essendosi completamente frantumato l’intonaco su cui era apposta;
uguale sorte in tempi recenti è toccata al verso di Guglielmo di Puglia (Gesti Roberti Wiscardi) che Ardicino Barba forse nel 1550 aveva fatto anche dipingere sul bordo dell’arcosolio:
URBS VENUSINA NITET DECORATA SEPULCHERIS
(La città di Venosa risplende della gloria di tali sepolcri),
e che può essere intravista solo in qualche vecchia fotografia.
Gli stemmi dipinti nei due lati del timpano che sovrasta l’arco, non appartengono alla famiglia degli Hauteville, ma sono dei Cavalieri di Malta e quello centrale (diagonale di scacchi bianchi e azzurri in campo giallo-rosso) appartiene ad un ignoto restauratore (lo stemma del Barba era infatti diverso e raffigurava un albero con radici).
Il Lenormant (7) ritenne ridicole queste figure e dipinte dalla mano di un imbrattatele.
È un giudizio estremamente severo, perché il viso del Cristo e del cavaliere di sinistra ispirati ad espressioni solenni e tristi, sono di buona fattura e non sembrano giustificare tanto pessimismo.
Nel gennaio del 2018 il mausoleo di Roberto il Guiscardo e dei suoi fratelli Altavilla è stato aperto, la pietra tombale rimossa, poichè la Soprintendenza ai Beni Culturali della Basilicata ha autorizzato alcuni ricercatori di altrettanti prestigiosi Istituti Accademici italiani e del nord Europa ad analizzare scientificamente i resti mortali dei duchi normanni Hauteville, per verificarne, una volta per sempre, l’esatta discendenza e ricostruirne con l’analisi del DNA la connessione fra le ossa sepolte qui a Venosa con quelle dei loro antenati sepolti in Francia ed in Norvegia.
(1) Geremia Dario Mezzina (Bari 1938), medico radiologo, fotografo, filologo classico;
(2) David Mortier Eduard Fraenkel (Berlino, 17 marzo 1888 – Oxford, 5 febbraio 1970) è stato un filologo classico tedesco, storiografo di poeti greci e latini;
(3) Edward Gibbon (Putney, 8 maggio 1737 – Londra, 16 gennaio 1794) è stato uno storico, scrittore e politico inglese;
(4) Achille Cappellano, ecclesiastico storico ed archeologo venosino del 1500.
(5) Schultz;
(6) Giuseppe Crudo, canonico Teologo della Cattedrale di Venosa – (Venosa 1800-1900);
(7) Lenormant Charles, Archeologo e numismatico (Parigi 1802 - Atene 1859);
(8) Mons. Michele Arcangelo Lupoli (originario di Frattamaggiore 1765 – 1834) filologo classico; vescovo di Montepeloso (paese della Basilicata tra Potenza e Matera), vescovo di Conza e Campagna; di Gravina di Puglia. Oggi porta il nome di Irsina ed è ecclesiasticamente unita in Diocesi con Matera;
(9) Emanuele Lauridia (1903-1973), storico, filologo, giornalista e medico.


































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