Sono molto legato alla Cattedrale di
Venosa, perché è qui che ho trascorso la mia infanzia, è qui che ho ricevuto i
miei primi sacramenti: Battesimo, prima Comunione, Cresima ed è qui che avrei
anche voluto sposarmi, ma purtroppo la chiesa, causa terremoto è stata riaperta
solo alcuni mesi dopo.
È tra i banchi di Sant’Andrea che si
svolgevano le lezioni della “Dottrina”, oggi si dice catechismo; è nei locali
del vescovado (oggi salone del centro giovanile) che trascorrevo i miei
pomeriggi, giocando e svolgendo i miei compiti scolastici pomeridiani con il “doposcuola”
ed insieme ai miei compagni, aspettavamo con gioia il parroco Don Emanuele
Laconca, che durante la pausa, ci deliziava con la merenda, fatta di pane e
marmellata.
Già da ragazzo sono stato sempre
incuriosito da ciò che mi circondava.
Durante le ore di catechismo, seduto insieme
ai miei compagni di classe nei banchi della chiesa, il mio sguardo era sempre
rivolto all’insù, mi attirava la grandezza e la magnificenza dell’intero tempio
con il suo soffitto a cassettoni e con tutti i suoi sacri arredi.
Oggi, con rammarico mi chiedo perché,
tante cose sono cambiate e tante non ci sono più.
Tra le cose che attivavano la mia
attenzione, c’era una in particolare che mi incuriosiva notevolmente: la
presenza ovunque di uno stemma in pietra, rappresentante un sole raggiante.
Lo vedevo riprodotto e ripetersi su
tutti i pilastri delle navate, sugli archi acuti, sulle alte finestre ogivali e
sull’arco dell’antica sacrestia.
Sicuro che si trattasse di un simbolo
scolpito nella roccia ed applicato in modo quasi maniacale nei punti cardini e
strategici, ad esempio su un arco o una porta, non poteva che essere la carta
di identità del padrone di quella casa, cioè Cristo.
Questa convinzione mi ha accompagnato
per diversi anni.
Poi, tempo addietro, studiando, ho
capito che mi sbagliavo.
Sono rimasto molto deluso.
Lo stemma in pietra con il sole
raggiante, che tanto mi piaceva e mi incuriosiva, non solo non rappresentava un
sole ma una stella, e non rappresentava neppure ciò che io credevo, cioè il
Cristo. Rappresentava la stella cometa prevalentemente di sedici raggi (a volte
anche 8), stemma della nobile casata napoletana dei Del Balzo; quel simbolo
altro non era che la “firma” di colui che aveva fatto costruire questo tempio
intorno al XIII secolo, Pirro Del Balzo.
Altra cosa che stento a capire è
l’esagerata ostentazione del blasone di famiglia: evidente che il Duca abbia
voluto ricordarci la committenza, ma forse ha esagerato: ciò è molto evidente
all’interno della cattedrale, dove io stesso a prima vista sono riuscito a
contarne 23, più 3 nella Cripta; credo però, che secondo una mia personalissima
stima, considerata la mania megalomane del Conte, la simmetria, i vari rifacimenti e/o
disfacimenti, le ristrutturazioni, i
terremoti e gli insulti del tempo, gli scudi avrebbero potuti essere molti di
più, almeno una quarantina; mentre pochi e niente all’esterno dell’edificio o
sui muri perimetrali dello stesso, qui se ne conta soltanto due (o tre?): lo
stemma della stella raggiante a sedici punte fa bella mostra sul portone
principale, al di sopra dello scudo vescovile.
Quest’ultimo è condiviso, a mio
avviso, tra il vescovo ed il duca, poiché reca nella sua parte superiore una
stella, immagine del Duca; nella parte inferiore ciò che rimane di un compasso
ed un giglio, emblema del vescovo.
L’ altro scudo ben distinguibile con
due putti che reggono le insegne araldiche, lo si trova sul portone secondario,
sul lato sinistro della Cattedrale.
Egli ha voluto mettere la sua “firma”
ovunque, una firma scolpita nella roccia in modo indelebile.
È ripetuta spasmodicamente su tutti i
pilastri portanti della chiesa, sugli assi portati di colonne, sugli architravi
degli archi acuti, anche nei punti meno visibili, e assicurarsi, che il nome del
suo casato sarebbe stato ricordato nei secoli.
È come se avesse voluto tramandarci
(nel caso lo dimenticassimo) che è lui, il Duca-Conte-Barone Pirro del Balzo,
l’autore della costruzione, ma io credo che egli abbia voluto dire agli uomini
del suo tempo (soprattutto al suo amico/nemico vescovo Nicola Geronimo Porfìdo,
visti e considerati i profondi dissidi tra i due e le minacce di scomunica) che
egli è il vero padrone di questo sacro tempio, costruito con le proprie
finanze, eretto con i propri soldi.
Questo mausoleo moralmente gli appartiene, è suo, anche se destinato alla Chiesa.
Il suo stemma nobiliare all’interno
della Cattedrale è un vero “segno del padrone”.
Il Duca del Balzo con le sue
innumerevoli “insegne stellate” ci ha fatto capire molto esplicitamente e con
estrema arroganza e presunzione, che il vero signore di questa Cattedrale non è
Colui che ci abita, cioè Dio, ma lui.
Stessa sorte è capitata, anche se in
modo apparentemente minore, al suo castello, le sue torri sono fregiate di
bellissimi rosoni e lapidi recanti le insegne del Duca Del Balzo, ma questa è
un’altra storia.
Pirro, applicando così tanti stemmi
nobiliari all’interno della Cattedrale,
ha voluto esercitare il suo personale “diritto d’autore” sull’”opera”
legata ed eretta da lui: in modo tale che questo vincolo d’unione permanesse
indipendentemente dalle vicissitudini storiche e da chi la possedesse
materialmente.
Sono convinto che Pirro si sia riservato
e conservato furbescamente un diritto di proprietà immateriale, il cosiddetto: corpus
mysticum, cioè un diritto morale, che mira a tutelare sia per la sua personalità,
essendone l'autore, sia il suo onore che la sua reputazione, assicurandosi una
corretta trasmissione alle generazioni future della sua opera, la quale è
rimasta inalterata, irrinunciabile ed inalienabile nel corso dei secoli.
Credo infine che, secondo l’usanza
dei nobili e dei grandi monarchi del tempo, alla maniera degli Altavilla e di
Roberto il Guiscardo nella chiesa della SS Trinità, anche egli abbia voluto erigere la “sua” Cattedrale
a tempio di sepoltura della famiglia Orsini/Del Balzo, visto che qui si trova
la tomba di Maria Donata Orsini, moglie di Pirro, che tanta parte ebbe nelle
vicende storiche di Venosa e riservare, alla sua morte, per egli stesso una santa,
degna e nobile sepoltura; infatti al di sopra della nuova collocazione della
tomba nella Cripta è murato uno stemma completo, scolpito in pietra della
nobile famiglia Del Balzo-Orsini-Orange.
La passione per “la mia Venosa” mi
spinge ad occuparmi di tematiche legate alla sua storia; non ho i titoli e non
sta a me raccontare la storia e le gesta del Duca, lascio questo compito a chi
ne ha la facoltà.
V.G,
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