La mia Venosa

Descrivo in queste pagine la mia città, la mia Venosa.
Narro la Venosa che a me piace.
La Venosa storica e culturale; quella ricca di tradizioni e di valori.
Parlo della Venosa nella quale mi riconosco e nella quale sono cresciuto.
Questa è la Venosa che voglio cantare.

domenica 18 dicembre 2016

Il segno del padrone sulla Cattedrale di Venosa


Sono molto legato alla Cattedrale di Venosa, perché è qui che ho trascorso la mia infanzia, è qui che ho ricevuto i miei primi sacramenti: Battesimo, prima Comunione, Cresima ed è qui che avrei anche voluto sposarmi, ma purtroppo la chiesa, causa terremoto è stata riaperta solo alcuni mesi dopo.

È tra i banchi di Sant’Andrea che si svolgevano le lezioni della “Dottrina”, oggi si dice catechismo; è nei locali del vescovado (oggi salone del centro giovanile) che trascorrevo i miei pomeriggi, giocando e svolgendo i miei compiti scolastici pomeridiani con il “doposcuola” ed insieme ai miei compagni, aspettavamo con gioia il parroco Don Emanuele Laconca, che durante la pausa, ci deliziava con la merenda, fatta di pane e marmellata.

Già da ragazzo sono stato sempre incuriosito da ciò che mi circondava.
Durante le ore di catechismo, seduto insieme ai miei compagni di classe nei banchi della chiesa, il mio sguardo era sempre rivolto all’insù, mi attirava la grandezza e la magnificenza dell’intero tempio con il suo soffitto a cassettoni e con tutti i suoi sacri arredi.
Oggi, con rammarico mi chiedo perché, tante cose sono cambiate e tante non ci sono più.

Tra le cose che attivavano la mia attenzione, c’era una in particolare che mi incuriosiva notevolmente: la presenza ovunque di uno stemma in pietra, rappresentante un sole raggiante.
Lo vedevo riprodotto e ripetersi su tutti i pilastri delle navate, sugli archi acuti, sulle alte finestre ogivali e sull’arco dell’antica sacrestia.

Sicuro che si trattasse di un simbolo scolpito nella roccia ed applicato in modo quasi maniacale nei punti cardini e strategici, ad esempio su un arco o una porta, non poteva che essere la carta di identità del padrone di quella casa, cioè Cristo.
Questa convinzione mi ha accompagnato per diversi anni.

Poi, tempo addietro, studiando, ho capito che mi sbagliavo.
Sono rimasto molto deluso.

Lo stemma in pietra con il sole raggiante, che tanto mi piaceva e mi incuriosiva, non solo non rappresentava un sole ma una stella, e non rappresentava neppure ciò che io credevo, cioè il Cristo. Rappresentava la stella cometa prevalentemente di sedici raggi (a volte anche 8), stemma della nobile casata napoletana dei Del Balzo; quel simbolo altro non era che la “firma” di colui che aveva fatto costruire questo tempio intorno al XIII secolo, Pirro Del Balzo.

Altra cosa che stento a capire è l’esagerata ostentazione del blasone di famiglia: evidente che il Duca abbia voluto ricordarci la committenza, ma forse ha esagerato: ciò è molto evidente all’interno della cattedrale, dove io stesso a prima vista sono riuscito a contarne 23, più 3 nella Cripta; credo però, che secondo una mia personalissima stima, considerata la mania megalomane del  Conte, la simmetria, i vari rifacimenti e/o disfacimenti, le ristrutturazioni,  i terremoti e gli insulti del tempo, gli scudi avrebbero potuti essere molti di più, almeno una quarantina; mentre pochi e niente all’esterno dell’edificio o sui muri perimetrali dello stesso, qui se ne conta soltanto due (o tre?): lo stemma della stella raggiante a sedici punte fa bella mostra sul portone principale, al di sopra dello scudo vescovile. 
Quest’ultimo è condiviso, a mio avviso, tra il vescovo ed il duca, poiché reca nella sua parte superiore una stella, immagine del Duca; nella parte inferiore ciò che rimane di un compasso ed un giglio, emblema del vescovo.

L’ altro scudo ben distinguibile con due putti che reggono le insegne araldiche, lo si trova sul portone secondario, sul lato sinistro della Cattedrale.
Egli ha voluto mettere la sua “firma” ovunque, una firma scolpita nella roccia in modo indelebile.

È ripetuta spasmodicamente su tutti i pilastri portanti della chiesa, sugli assi portati di colonne, sugli architravi degli archi acuti, anche nei punti meno visibili, e assicurarsi, che il nome del suo casato sarebbe stato ricordato nei secoli.

È come se avesse voluto tramandarci (nel caso lo dimenticassimo) che è lui, il Duca-Conte-Barone Pirro del Balzo, l’autore della costruzione, ma io credo che egli abbia voluto dire agli uomini del suo tempo (soprattutto al suo amico/nemico vescovo Nicola Geronimo Porfìdo, visti e considerati i profondi dissidi tra i due e le minacce di scomunica) che egli è il vero padrone di questo sacro tempio, costruito con le proprie finanze, eretto con i propri soldi. 

Questo mausoleo moralmente gli appartiene,  è suo, anche se destinato alla Chiesa.
Il suo stemma nobiliare all’interno della Cattedrale è un vero “segno del padrone”.
Il Duca del Balzo con le sue innumerevoli “insegne stellate” ci ha fatto capire molto esplicitamente e con estrema arroganza e presunzione, che il vero signore di questa Cattedrale non è Colui che ci abita, cioè Dio, ma lui.

Stessa sorte è capitata, anche se in modo apparentemente minore, al suo castello, le sue torri sono fregiate di bellissimi rosoni e lapidi recanti le insegne del Duca Del Balzo, ma questa è un’altra storia.

Pirro, applicando così tanti stemmi nobiliari all’interno della Cattedrale,  ha voluto esercitare il suo personale “diritto d’autore” sull’”opera” legata ed eretta da lui: in modo tale che questo vincolo d’unione permanesse indipendentemente dalle vicissitudini storiche e da chi la possedesse materialmente.

Sono convinto che Pirro si sia riservato e conservato furbescamente un diritto di proprietà immateriale, il cosiddetto: corpus mysticum, cioè un diritto morale, che mira a tutelare sia per la sua personalità, essendone l'autore, sia il suo onore che la sua reputazione, assicurandosi una corretta trasmissione alle generazioni future della sua opera, la quale è rimasta inalterata, irrinunciabile ed inalienabile nel corso dei secoli.

Credo infine che, secondo l’usanza dei nobili e dei grandi monarchi del tempo, alla maniera degli Altavilla e di Roberto il Guiscardo nella chiesa della SS Trinità,  anche egli abbia voluto erigere la “sua” Cattedrale a tempio di sepoltura della famiglia Orsini/Del Balzo, visto che qui si trova la tomba di Maria Donata Orsini, moglie di Pirro, che tanta parte ebbe nelle vicende storiche di Venosa e riservare, alla sua morte, per egli stesso una santa, degna e nobile sepoltura; infatti al di sopra della nuova collocazione della tomba nella Cripta è murato uno stemma completo, scolpito in pietra della nobile famiglia Del Balzo-Orsini-Orange.

La passione per “la mia Venosa” mi spinge ad occuparmi di tematiche legate alla sua storia; non ho i titoli e non sta a me raccontare la storia e le gesta del Duca, lascio questo compito a chi ne ha la facoltà.

V.G,

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