L’interno della collina della Maddalena, situata poco più di
mezzo chilometro a nord del centro abitato di Venosa, ospita delle fila di
incavi ottenuti scavando nella pietra tufacea della collina.
Si tratta di catacombe ebraiche, costruite dalla comunità
ebraica venosina per ospitare le spoglie dei membri della comunità stessa.
Le catacombe ebraiche di Venosa sono un’importante
testimonianza del culto dei morti nella colonia ebraica dell’antica città
romana tra i secoli IV e VI d.C.
La scoperta ufficiale delle catacombe si colloca al 1853,
quando venne alla luce il primo complesso di catacombale, scavato nel fianco
meridionale della collina della Maddalena, anche se altre fonti ne davano
notizia già dal 1584 e nel 1842 fu visitato da D’Aloe, il quale trascrisse le
iscrizioni visibili nelle grotte.
Le stesse iscrizioni rinvenute in questo primo complesso
furono studiate dapprima, nel 1880, dal linguista e glottologo Graziadio Isaia
Ascoli e da Umberto Cassuto poi, nel 1944.
Le catacombe si presentano come una rete di cunicoli
sotterranei organizzati intorno a tre corridoi principali dai quali si diramano
una serie di piccoli vani laterali.
Le pareti dei corridoi laterali sono
occupate da piccole nicchie e loculi (cubicula) o si aprono in grotte di
dimensioni più ampie che ospitano più sepolcri, sormontate da un arco che
poteva essere intonacato o affrescato (arcosolium).
Nel 1974, in seguito a nuove ricerche, fu scoperto un
settore prima sconosciuto.
In esso spicca un arcosolio, una nicchia a forma di arco,
riccamente affrescato, recante i simboli della religione ebraica quali la
menorah, il candelabro a sette braccia, affiancata a destra dallo shofar, il
corno, e dal lulav, la palma, ed a sinistra dall’etrog, il cedro, e da una
fiala d’olio.
Un saggio di scavo condotto nel 1981 da Cesare Colafemmina
ha restituito un’altra porzione di catacombe, che si andava così ad aggiungere
ad altre, scoperte dallo stesso Colafemmina negli anni 1972-1974, alcune delle
quali cristiane, a dimostrazione della convivenza pacifica delle due comunità
religiose.
Un tempo questi numerosi complessi catacombali avevano con
ogni probabilità dimensioni più ristrette di quelli che si presentano oggi come
corridoi comunicanti.
La natura estremamente friabile della, infatti, ha
modificato sostanzialmente la conformazione originale del sito in seguito a
sismi e frane, e solo da poco le catacombe sono state per una parte riaperte al
pubblico dopo anni di lavoro di consolidamento e di restauro.
Le oltre 75 iscrizioni funerarie provenienti dalle
catacombe, datate dal IV al IX secolo d.C., una delle quali è datata con
esattezza al 521 d.C., ci restituiscono quello che è stato definito: «il
migliore spaccato della società ebraica meridionale fra tarda Antichità e alto
Medioevo» e ci consentono di trarre un’immagine piuttosto dettagliata
sull’organizzazione interna della comunità ebraica venosina.
Le lingue usate nelle iscrizioni della grande catacomba sono
la greca, la latina e l’ebraica, e a tali lingue e culture appartiene anche
l’onomastica dei defunti.
Molti epitaffi sono bilingui, ma è da notare che mentre nei
pressi dell’ingresso sembra esclusiva la lingua greca, man mano che si procede
verso l’interno il latino si alterna al greco sino a prevalere nettamente.
Uno degli epitaffi più recenti, forse della fine del VI
secolo, è in greco ma in caratteri ebraici.
I testi delle iscrizioni superstiti, come si diceva, offrono
un’immagine abbastanza ricca dell’organizzazione comunitaria.
Vi compaiono, infatti, l’arcisinagogo, i gherusiarchi, uno
dei quali è anche archiatra, un didascalo, i presbiteri, i padri (patres) ed il
padre dei padri (pater patrum).
Quest’ultimo titolo indicava forse una specie di decano o
uno dei patres più benemeriti, benefattori della comunità.
Circa i rapporti degli ebrei venosini con la città, due
iscrizioni della “catacomba nuova”, databili alla fine IV- inizi V secolo,
attribuiscono a due di essi, Aussanio e Marcello, il titolo di “patrono”,
conferito a ricchi e influenti personaggi della città o del municipio,
onorificenza poi interdetta agli ebrei nella prima metà del V secolo.
Tuttavia di questa fiorente comunità ebraica non è stata
ritrovata la sinagoga né abbiamo testimonianze sulla sua ubicazione nel tessuto
urbano.
La comunità ebraica prosperava dunque nell’epoca in cui si
fa risalire la costruzione e l’uso delle catacombe, nel periodo cioè compreso
tra il IV e il VI secolo d.C.
Ma secondo la tesi di Ernst Munkacsi già dalla tarda età
repubblicana, I secolo a.C., esisteva a Venosa una prima comunità ebraica, di
ceppo ellenistico, di liberi commercianti, poi accresciutasi in seguito alla
distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. e alla Diaspora del 135 d.C.
La ricchezza della città e la sua posizione strategica
all’incrocio tra la via Appia, crocevia di commerci, e la via Erculea, fecero
la fortuna della comunità nel periodo imperiale fino alle soglie del Medioevo.
Un sepolcro nelle catacombe rivestito in marmo, i pregiati
affreschi, i titoli onorifici conferiti ai maggiorenti ebrei, provano la
ricchezza della comunità e l’elevato status sociale dei membri della comunità,
tra i quali comparivano proprietari terrieri, medici, commercianti e artigiani.
Gli ebrei venosini vissero in agiatezza e in pacifica
convivenza con la comunità cristiana e pagana della città, come testimoniano
tra l’altro l’adozione di nomi greci e latini da parte di ebrei, fin quando nel
438 le leggi romane escluse dagli onori civili chi confessava la religione
giudaica. Da allora, complice anche il ristagno dei commerci, cominciò il
declino della comunità che però sopravvisse per molti secoli ancora.
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