Per quanto
possa sembrare strano qui a Venosa, nella chiesa vecchia della SS Trinità
esiste un angelo dispettoso, oserei dire birichino; no, non ho detto ribelle,
ma dispettoso, tendente al birichino!
Birichino
perché il volere degli uomini, legati alle passioni terrene, a volte non
collima con quello celestiale degli angeli e loro sanno come farsi valere ed
ascoltare.
Questo
nostro angelo ha scelto davvero un sistema insolito per farsi rispettare,
disubbidendo al volere maldestro degli uomini.
L’uomo con la
sua mano ha tentato più volte di farlo sparire, convinto che alcuni angeli
fossero inutili; però ha fatto male i suoi calcoli: sono gli angeli che
decidono se, come e quando sparire.
Ma
procediamo per ordine.
Fino ad una
quarantina di anni fa circa, prima che l’antica abbazia della SS Trinità di
Venosa venisse chiusa per anni, per dei lunghissimi lavori di restauro, negli
addetti ai lavori del tempo non era ancora viva la coscienza e la cultura della
tutela e della conservazione dei beni culturali e di tutte le opere artistiche
in genere, come lo è oggi, per cui non si faceva molta attenzione alle opere
d’arte ed ai capolavori in essa contenuti e purtroppo, mal custoditi.
Varcato il
primo portone d’ingresso esterno, quello con i leoni, ci si trova di fronte al
secondo e splendido portale trionfale dell’abbazia; varcato anche questo si
entra in un’altra dimensione.
Le lancette
del tempo sembrano fermarsi al medioevo.
In un
religioso silenzio ci si immerge nella storia, quella con la “S” maiuscola, che
questo luogo rappresenta, per ciò che è accaduto ed è passato qui in secoli di
storia, perché qui è la storia che parla.
Subito dopo
l’attraversamento della soglia d’ingresso, volgendo lo sguardo a sinistra, ci
si imbatte in un ricco e suggestivo fonte battesimale; sollevando ancora lo
sguardo in alto sul muro, si poteva osservare ciò che rimaneva di un affresco
ormai irrimediabilmente rovinato, sia dall’insulto del tempo, che dall’incuria
degli uomini; l’unico frammento visibile, ben conservato e perfettamente
riconoscibile è la testa di un bellissimo e paffutello angioletto riccioluto.
Si è pensato
allora: cosa fare di questa grande parete bianca con affresco malridotto?
In fondo c’è
solo la testa di un piccolo ed insignificante angelo; sarebbe meglio sacrificarlo
per una parete più “pulita”, meglio tinteggiarla e rinfrescarla.
Per cui
nell’arco di alcuni secoli si è tentato più volte di cancellare o rimuovere con
maldestre e goffe pitturazioni i frammenti degli affreschi malconci, compresa
la sagoma dell’angelo.
Più si
tinteggiava, più la testa dell’angioletto riappariva.
Ciò che
allora aveva del miracoloso era, che malgrado le diverse sovrapposizioni di
mani di pittura, la testa dell’angelo, a dispetto degli uomini non si riuscì
mai a cancellarla ed eliminarla.
Ed ecco che
la leggenda è bella e servita.
I riccioli
biondi dell’angelo, gli occhi azzurri e le sue gote belle e paffute, a dispetto
dei goffi pittori, riapparivano sempre.
Non si può
lottare con un angelo ostinato, ci aveva già provato Giacobbe secoli addietro,
(ma questa è un’altra storia), no, proprio non si può.
Dopo lunghi
restauri però si è giunti ad un compromesso: oggi l’immagine dell’angelo non è
sparita, però è stata sfrattata.
Non si trova
più sulla sua parete originaria, ma per motivi conservativi e logistici è stata
rimossa e staccata con tutto l'intonaco.
Attualmente
questo magnifico frammento, di quello che probabilmente in passato doveva
essere un grande e bello affresco, è stato collocato sul una finestrella murata
sul muro in fondo alla navata di destra dell’abbazia stessa, a ridosso del
magnifico altare ligneo barocco, con al centro un grande crocifisso, altare che
ospita il SS Sacramento.
Ora
l’angioletto non ha motivo di indispettire più nessuno; al contrario ha una
collocazione molto più meritoria ed adatta al suo essere.
Si trova al
cospetto del suo Dio, Uno e Trino e non più lontano dai sacri riti, come lo era
un tempo, quasi emarginato in fondo alla chiesa, in tal modo può continuare a
cantarne le laudi al suo Signore, come solo lui, a dispetto di noi umani, sa
fare.
Qui è nata
secoli addietro e qui finisce oggi la leggenda metropolitana dell’angelo
birichino.
Vincenzo
Giaculli